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La personalità

Il termine personalità deriva dal termine latino “persona”, che indicava la maschera dell’attore teatrale, che era caratterizzata dalla sua fissità e continuità.

La personalità si può quindi definire come una struttura fissa, portante, che ha delle caratteristiche peculiari che la rendono riconoscibile e prevedibile in qualche modo, perché coerente e costante,

La personalità può quindi definirsi come quell’insieme di caratteristiche psichiche e comportamentali, che nella loro integrazione costituiscono un nucleo centrale stabile nel corso del tempo.

Lo strutturarsi della personalità e di quelli che Gordon Allport definisce come tratti di personalità (modi di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente), coincide con lo sviluppo dell’identità e quindi della personalità di una persona.

Maschere – immagine web – google

Nello specifico definiva la personalità come “l’organizzazione dinamica di quei sistemi psicofisici e sociali che determinano il pensiero e i comportamenti caratteristici dell’individuo”. Lui considerava i tratti di personalità come innati. Essi, infatti, sono il risultato di un intreccio dinamico tra gli aspetti psicofisici e la rete sociale.

Allport inoltre riteneva che fosse impossibile individuare due personalità identiche, perché la combinazione dei tratti di personalità per ogni singola persona è unica.

I tratti di personalità, sempre secondo la teoria di Alport, possono essere suddivisi in tratti comuni e tratti personali.

I tratti comuni sono quelli che si utilizzano e che possono essere identificativi per un gruppo specifico di persone o una categoria in particolare (ad esempio gli atleti professionisti sono in genere molto competitivi).

I tratti personali sono invece quelle caratteristiche proprie di ogni singolo individuo e possono essere distinti in ulteriori tre tipologie differenti:

I tratti cardinali (sono i più forti e pervasivi e hanno l’influenza maggiore sulla personalità e sul comportamento); i tratti centrali (influenzano gran parte del comportamento e colgono l’essenza dell’individuo); i tratti secondari (molto specifici, ma difficile che si manifestano liberamente).

Sono però differenti le teorie che hanno studiato la personalità; un contributo notevole a questi studi è stato dato dalle teorie psicodinamiche, che hanno legato lo sviluppo della personalità e dell’identità alle interazioni tra istanze diverse nel corso dello sviluppo psicosessuale.

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Trovare la motivazione: il modello delle competenze di successo.

Il modello delle competenze è caratterizzato per essere orientato sul lavoratore e in particolare – come vedremo- sulle sue motivazioni.  Una piccola preliminare annotazione, ci chiede di chiarire cosa siano le competenze. In ambito aziendale, ciò che porta alla definizione delle competenze (ovvero ciò che le risorse, quindi ad esempio gli impiegati, devono possedere per realizzare gli obiettivi prefissati dall’azienda), è la fase in cui si analizzano gli obiettivi, i valori, le modalità operative, definiti nell’ambito della strategia aziendale. Tale modello nasce intorno agli anni 70, dagli studi dello psicologo David McClelland. Ciò che questo modello tenderà ad evidenziare, è che la competenza sia una caratteristica intrinseca  della persona riguardante aspetti motivazionali, capacità, tratti personali e l’immagine di sé. 

Le componenti della competenza di successo si acquisiscono con l’esperienza e si organizzano in maniera gerarchica . Spencer e Spencer usano a tal proposito, una interessante metafora: quella dell’icebearg.  La metafora  ci aiuta a comprendere come le diverse componenti si vadano a distribuire, fino a compattarsi e diventare componenti di successo. Le skills (le capacità cognitive e comportamentali finalizzate alla performance), come la punta dell’icebearg, si trovano sulla superficie (in quanto sono osservabili e più facili da arricchire o modificare sia in relazione alla situazione, che alla maturazione professionale), mentre le motivazioni, l’immagine di sé e i tratti personali sono più profondi (e pertanto più stabili e meno influenzabili).

Immagine e-book Franco Angeli

Ciò che emerge da questa descrizione, è quindi il forte legame esistente tra “mondo personale” e lavorativo, ovvero il fatto che quando una persona si sposta nel “mondo del lavoro” decidendo magari di aderire a valori dell’azienda, non lo farà dimenticando i propri ma cercando (per quanto possibile) di far aderire le due posizioni alla medesima visione.

Un lavoratore che non senta troppa discrepanza tra le motivazioni, l’immagine di sé e i tratti personali, è sicuramente maggiormente efficiente e meno incline ad incorrere in forme cliniche o sub-cliniche di stress lavorativo. https://ilpensierononlineare.wordpress.com/2018/12/10/sono-esausto-quando-lavorare-diventa-una-forma-di-disagio-a-tutti-gli-effetti/

Dott.ssa Giusy Di Maio