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Xenos: 27 Gennaio.

Immagine Personale: Memoriale dell’Olocausto, Mitte, Berlino.

La giornata odierna si configura come una delle date più inquietanti per la storia di tutta l’umanità; inquietanti non per l’atto in sé che invece ha sancito la fine, la scoperta (o forse un altro tipo di inizio) dell’orrore nazista; la data della scoperta del campo di concentramento di Auschwitz ha di fatto aperto alla considerazione e alla presa di coscienza che l’essere umano può essere disumano.

La considerazione di oggi appare piuttosto complessa se pensiamo che dal 1945 dalla caduta di muri e barriere, ancora tante altre ne vengono alzate (pensiamo al muro di separazione voluto da Trump e bloccato da Biden).

Perchè si ha tanto paura dello straniero e soprattutto.. lo straniero e l’estraneo sono assimilabili?

Come la lingua tedesca, anche la nostra segna una differenza tra “estraneo” e “straniero” , in sostanza i due termini non sono assimilabili a differenza di quanto accade nel francese dove con “inquietante estraneità” e la parola étranger troviamo sovrapposti i due campi semantici “straniero ed estraneo”.

Richiamare per un momento alla differenza semantica (una differenza mi rendo conto non troppo semplice), ci aiuta a meglio comprendere cosa accade dal punto di vista psicodinamico quando l’individuo incontra la diversità.

“Lo straniero di trova già dentro”, scriveva Derrida (1994). La considerazione di Derrida ci offre un ponte di collegamento con il fatto che l’effetto perturbante dello straniero risiede nello scoprire l’estraneità dentro di noi, tanto da doverla perseguitare fuori.

Io non sono o non posso essere straniero a me stesso, l’estraneo è fuori di fronte, lontano tenuto separato da me così da non poterlo vedere; non voglio toccarlo, non voglio che esista.

Lo straniero diviene una sorta di Horla e come Maupassant fa dire al suo protagonista, la presenza di quell’essere diviene sempre più intollerabile, tanto da dover essere eliminato.

Chi è allora questo xenos che varca i miei confini che quindi scopro e riscopro in realtà labili e forse non così tanto impermeabili alla sua presenza?

Lo straniero è il ritorno del mio rimosso, della mia angoscia è quel qualcosa di familiare che ritorna prepotentemente senza chiedere il permesso.

Lo straniero diviene alterità, si presenta ai miei occhi come una delle possibili sfaccettature del mio Io che quindi non è poi così strutturato e rimarcato come “Io” pensavo.

Lo straniero diviene inquietante perchè pone in me dubbi, perplessità e paura; riscopro nel tuo essere migrante, nel tuo essere debole ed esposto o viceversa nel tuo essere uno straniero “troppo benestante”, le mie mancanze.

L’incontro con l’Altro diviene punto non di incontro ma di scontro identificando te, la mia non richiesta specularità, volto informe, sfocato e cattivo: da perseguitare.

Accade allora che tutto ciò che percepisco come strano, straniero ed estraneo diviene perturbante; diviene inquietante; diviene terrorizzante. Non so più che nome darti, straniero, e nella mia/tua inquietante estraneità perdo il collegamento con il mio essere umano e divento disumano.

Xenos ti perseguito, ti sfrutto, ti lascio morire di fame, sete e freddo in mezzo al mare. Xenos ti offendo, ti uso violenza: che tu sia uomo, donna, bambino, neonato, ti abuso e non mi faccio cura se ti rinchiudo in un campo a lavorare al freddo della neve; non mi faccio cura se perdi i denti, la pelle, se diventi ossa; non mi faccio problemi a saperti scheletro, ossa e fantasma, lontano ricordo dell’umano che anche tu sei stato.

Ti rendo spettro e non più umano per non avere timore di te: se diventi ombra e non più carne non posso temere la tua presenza perchè più diventi evanescente e meno sei carne, meno sei presenza effettiva.

Non mi faccio cura di te, xenos perchè non mi faccio cura di me.

Ti uso e ti abuso perchè sono Io, il vero straniero; sono Io a non sapere quale sia il mio volto.

Sono io a non essere umano.

Sono io il vero disumano.

Per quanto concerne il tema (e la giornata) della memoria, vorrei consigliarvi un bellissimo film, delicato ma centrato.

“Ogni cosa è illuminata”, 2005, Liev Schreiber, trasposizione cinematografica dell’omonimo libro autobiografico di Jonathan Safran Foer. Si tratta di un film ricco di particolari e suggestioni che narra la storia di Jonathan, giovane ebreo statunitense, che decide di compiere un viaggio a ritroso sulla scia della propria storia familiare, partendo dagli Stati Uniti, per giungere in Ucraina. Il protagonista si trova a vivere, rivivere e agire, la storia e il trauma familiare (tema centrale sarà la Shoah); come un archeologo, scavando alla ricerca delle proprie origini, Jonathan elabora il lutto accendendo una luce su un passato tenuto per troppo tempo al buio.

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“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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La morte dell’Umano. Giorno della memoria.

Come è potuto succedere? Cosa ha spinto l’umanità a varcare la soglia dell’impensabile?

Il giorno della memoria, come ogni anno, potrebbe essere considerato, la rappresentazione riattualizzata di un trauma collettivo globale; il palesarsi di un aspetto terrorizzante della natura umana, che si ripresenta ciclicamente nella millenaria storia dell’umanità e che con la scoperta dell’orrore dei campi di concentramento e dello sterminio di milioni di persone ci ha resi consci della possibilità dell’impossibilità.

Immagine Personale – Flakturme – Torri contraeree Naziste – Vienna

Perché è successo ciò che è successo e come è possibile che riaccada ciclicamente?

Nei regimi totalitari in generale e in questo caso in quelli nazi-fascisti quanto più impellente era il bisogno di dare un senso alle paure primarie che si facevano minacciose, tanto più impellente era il bisogno di individuare dei capri espiatori sui quali convogliare tutti gli effetti e le conseguenze della sofferenza collettiva. Accadeva così che “distruggendone il fantasma, anche la paura sarebbe stata debellata”, così facendo, a livello psicologico nella gente si creava un senso di soddisfazione e sollievo temporaneo, che dava una illusione di vittoria.

Nel caso del regime nazista c’era bisogno di legittimare le proprie ragioni, le proprie idee di espansione. Bisognava individuare, un motivo, un nemico comune, qualcosa che giustificasse quello che stava succedendo.

Prima di tutto agire e giocare sulla paura e demonizzare un “presunto nemico”, poi deumanizzarlo per aver la libertà di cancellarlo. Deumanizzare significa negare l’umanità dell’Altro creando un asimmetria ad hoc, che giustifichi le differenze tra chi gode delle “qualità” caratteristiche prototipiche dell’umano e chi no. Deumanizzare significa avere una idea ben precisa delle qualità umane che andranno poi negate.

Lo sterminio degli ebrei e di tutti gli altri gruppi umani vittime è sorretto da una ideologia folle che appiattisce completamente le “sembianze umane” degli uomini, definendoli come bestie o oggetti.

La deumanizzazione può esprimersi in modi espliciti o sottili. A livello esplicito si attuano strategie che negano apertamente l’umanità di gruppi interi di persone, allo scopo di giustificare, sfruttamenti, deportazioni e violenze; a livello sottile invece si agisce specialmente sul quotidiano erodendo pian piano l’umanità delle persone (esempi sono le leggi emanate anche in Italia che impedivano l’ingresso nei negozi agli ebrei o addirittura nelle scuole).

Considerare l’altro come un oggetto rinvia all’universo della mercificazione, all’uso strumentale del corpo, all’azzeramento dell’anima.”

Chiara Volpato

Insomma deumanizzare serve a pensare l’altro come un essere umano incompleto, un animale, un oggetto. Questo “pensare” l’altro in questo modo, permette di giustificare quelle azioni inaccettabili, che in un contesto normale verrebbero sicuramente condannate. Degradare e deumanizzare l’altro apre le porte a quello che è poi diventato uno sterminio di massa, attraverso l’uso “giustificato” e “negato” di azioni di violente, massacri, omicidi e torture.

Immagine Personale – Monumento Olocausto – Berlino

“Fra gli esseri viventi l’uomo è il più pauroso e il più terribile a un tempo: trema davanti a se stesso e ai pericoli immaginari creati dalla sua mente: inventa e perfeziona i mezzi per far paura, per creare, regolare e manovrare la fisica della forza. Ma appunto perché ha paura e sa far paura, crede facilmente di potersi mettere al riparo, facendo paura. E più ha paura, più vuole provocare paura” .

(Guglielmo Ferrero)

Le dittature attraverso l’utilizzo mirato della paura in generale e della paura dell’altro e attraverso il passaggio dalla deumanizzazione si rende possibile l’idea di un progetto terrificante di annientamento di un popolo.

Coloro che hanno ottenuto il potere (dittatori, tiranni o pseudo leader), hanno la possibilità di strumentalizzare la paura dei sudditi per rafforzarsi.

Se un leader tiranno, con mire espansionistiche vuole scatenare una guerra, descriverà il nemico come un mostro, dando così un volto preciso ai timori e alle ansie del popolo. I timori e le ansie possono anche essere di natura diversa, questo non sarà un problema, verranno convogliati ugualmente verso quell’unico obiettivo.

Ma la paura è una emozione invasiva e facilmente contagiosa. Infatti la paura degli altri può rafforzare il potere attraverso la sensazione di sentirsi forti e uniti per combattere un nemico comune, ma proprio per le sue proprietà “invasive” la paura può diventare un boomerang. “Se i soggetti hanno paura del potere a cui sono sottoposti, il potere ha paura dei soggetti a cui comanda” (G. Ferrero), il potere dei dittatori e dei tiranni, vive nel continuo timore, vive nella paranoia e affoga nel sospetto. Il potere sopravvive grazie alla paura, ma vive immerso nel terrore e nella diffidenza.

“Se il potere non rispetta i principi che lo legittimano esso anziché eliminare la paura, la rafforza e la moltiplica”.

Anna Oliverio Ferraris

Ciò che rende umano l’uomo è secondo Fedidà la possibilità di comunicare (attraverso il volto, le modalità espressive, la parola, i gesti).

Distruggere, demolire un uomo significa che le apparenze che consentivano il riconoscimento sono disfatte[…]. La demolizione di un uomo è rendere impossibile il far esistere l’umanità al suo livello essenziale, che è quello dell’apparenza”

Pierre Fedidà

La speranza è che non succeda più..

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott. Gennaro Rinaldi

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Ascoltare vs Comprendere.

Immagine Personale.

“Un ascolto che fa mostra di comprendere ciò di cui l’altro soffre non è ascolto, è paura di ascoltare; anche questa sarà una perversione del linguaggio: qualificare come “umanista” un ascolto impaurito, “neutro” e “benevolente”, mentre ciò che oggi si può intendere è che questo “umanesimo dell’ascolto” può mascherare barbarie o indifferenza”.

Pierre Fédida.

Sintonizzarsi con l’altro essendo/CI comporta la possibilità di entrare in gioco come dualità in costruzione e in incontro (incontro e ascolto empatico, spoglio di tutte quelle sovrastrutture che mettono il mio desiderio e il mio essere, prima del tuo, creando – invece- una circolarità in cui entrambi ci sentiamo al sicuro e sicuri di poter esprimere il nostro essere).

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.