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Yes, Sir! Obbedire è una scelta?

Fonte Immagine “Google”.

In precedenza ho descritto l’esperimento di Asch il quale mostrava un modo di conformarsi agli altri, a “parole”. Ciò che invece andrò ad approfondire adesso, è un altro modo di conformarsi ovvero, quello che concerne l’obbedienza, il comportamento e la condotta. Approfondiamo insieme gli esperimenti di Milgram sull’obbedienza.

Gli esperimenti di Milgram sono noti come “esperimenti sulla norma dell’autorità o norma dell’obbedienza” e indagano cosa accade quando le richieste di un’autorità entrano in collisione con quelle della coscienza di chi riceve la richiesta. Milgram condusse l’esperimento all’università di Yale, costruendo il seguente scenario:

“Due uomini si presentano all’università per partecipare ad uno studio di apprendimento e memoria; i due vengono accolti da uno sperimentatore austero che, vestito di camice bianco, spiega che si tratta di uno studio pionieristico sull’effetto delle punizioni sull’apprendimento. L’esperimento richiede che uno dei due uomini insegni all’altro una lista di coppie di parole, punendo gli errori commessi somministrando una scossa elettrica di intensità crescente. L’assegnazione dei ruoli avviene in modo casuale estraendo a sorte da un cappello. In realtà uno dei due uomini convocati presso l’università è un complice dello sperimentatore (confederato) e proprio lui dirà di aver estratto il cartoncino con scritto “studente”. All’altro soggetto sarà quindi affidato il ruolo di insegnante. L’insegnante riceverà una scossa indicativa, prima di iniziare l’esperimento e vedrà successivamente legare ad una sedia con degli elettrodi, lo studente. L’esperimento prosegue con l’insegnante che prende posto davanti un generatore di corrente (in realtà finto) congegnato con una serie di interruttori (30) che vanno da 15 a 450 volt. Sugli interruttori ci sono delle etichette che riportano il tipo di intensità della scossa “scossa leggera, scossa molto forte, pericolo.. XXX” Lo sperimentatore dice all’insegnante di aumentare il livello della scossa ogni volta che lo studente sbaglia la coppia di parole. A ogni scatto dell’interruttore lampeggia una luce, scatta un relè e si sente un ronzio”.

L’obiettivo di Milgram era verificare fino a che punto l’insegnante avrebbe deciso di somministrare le scosse, soprattutto nel momento in cui lo studente manifestava apertamente sofferenza/dolore e la volontà di porre fine all’esperimento. In risposta alle domande dell’insegnante e alle richieste di terminare l’esperimento, lo sperimentatore dice che la non risposta dello studente va considerata errore e pertanto, punita. Per fare in modo che l’insegnante continui l’esperimento e sottoponga la coppia di parole allo studente, lo sperimentatore usa 4 incitamenti verbali:

1- Per favore continui

2- L’esperimento richiede che lei continui

3- E’ assolutamente necessario che lei continui

4- Non ha altra scelta; deve continuare

Milgram descrisse l’esperimento a centinaia di psichiatri, studenti e adulti della classe media, e tutti sostennero che non sarebbero andati oltre i 135 volt…

Nessuno si aspettava che qualcuno avrebbe sottoposto scosse di livello XXX del pannello elettrico. Milgram sottopose all’esperimento 40 uomini di età compresa tra i 20 e i 50 anni, 26 di loro (65%) arrivò fino alla fine ovvero 450 volt.

Milgram sostenne che la cieca obbedienza espressa da coloro che rivestivano il ruolo di insegnante, dipendesse da una serie di fattori ovvero:

la distanza emotiva dalla vittima: l’obbedienza era maggiore quando gli insegnanti non potevano vedere da vicino lo studente. Se la vittima era lontana e non si sentivano le lamentele/sofferenza quasi tutti obbedivano ciecamente all’ordine dato. Questo punto è interessante in quanto è ciò che accade quotidianamente in ogni forma di conflitto o guerra.

la vicinanza dell’autorità e la sua legittimità: la presenza fisica dello sperimentatore (austero e in camice) aumentava l’obbedienza. Se il comando era dato telefonicamente, questa calava al 21%.

L’appartenenza dell’autorità a un’istituzione rispettata: maggiore è il prestigio dell’autorità più alta è la possibilità che un soggetto obbedisca. La ricerca condotta dalla prestigiosa università di Yale aveva più credito di quella condotta da una sconosciuta università di paese.

L’effetto liberatorio dell’influenza del gruppo: Milgram colse l’effetto liberatorio del conformarsi in gruppo (pertanto una versione positiva del conformismo di gruppo) quando notò che se si accostava all’insegnante una coppia di complici che lo aiutavano nella procedura, e questi complici ad un certo punto si ribellavano sostenendo che fosse inumano somministrare scosse, anche l’insegnante (90%) si ribellava mettendo fine all’esperimento.

Gli studi di Milgram sono stati a lungo discussi poichè inizialmente indicati come eticamente scorretti. Dal punto di vista personale più che altro sorrido perchè da questi esperimenti in poi, nell’opinione comune si è diffusa la malsana idea che gli psicologi durante gli esperimenti sottopongano scosse alle loro “cavie”. A tal proposito mi si permetta una divagazione : durante i primi giorni di corso durante la laurea triennale, il mio professore di psicometria chiese ai 350 studenti che aveva di fronte, perchè non aiutassimo i nostri colleghi laureandi, e ci rifiutassimo di partecipare agli esperimenti. La risposta di più del 90% di noi studenti fu “perchè voi utilizzate le scosse”: psicologi vittima di uno dei bias più antichi sulla psicologia.

Ritornando all’argomento approfondito, sarebbe interessante riprodurre ancora oggi l’esperimento e sono piuttosto curiosa di sapere se secondo voi, questo esperimento può avere o meno una validità.

Nel frattempo passo la palla al mio collega -il Dott. Rinaldi- che continuerà questi approfondimenti con un’altra sfaccettatura -ancora- dell’argomento. Resto in attesa dei vostri preziosi feedback e grazie per la lettura.

Fonte “Youtube”.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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Credo di credere.. Suscitare un’azione tramite il processo di Persuasione.

Fonte Immagine “Google”.

Ci troviamo a vivere in un periodo storico complesso e pluristratificato. Non si tratta (più) soltanto del riferimento alla pandemia, quanto piuttosto all’essere calati in una società/realtà dai confini sempre più labili. Con l’intento di abolire le differenze se ne creano di converso altre ben più marcate e subdole. Ciò che ci cinge intorno come una cintura sempre più stretta potrebbe essere il derivato di messaggi sempre più confusi/confusivi ai quali si decide di credere anche quando non ne siamo completamente convinti. Spesso tali messaggi vedono l’uso di immagini forti (si pensi alle foto sui pacchetti delle sigarette o alle tac mostrate per rafforzare i messaggi sulla pandemia). Questa è davvero la strategia migliore?

Carl Hovland dell’Università di Yale decise durante la II Guerra Mondiale di studiare la persuasione. Con tale termine si intende quel processo secondo cui, tramite atti di comunicazione, si arriva alla formazione rafforzamento o modifica degli atteggiamenti. Il processo fu studiato andando a “valutare” i soldati utilizzando a tal proposito documentari o filmati didattici. Di ritorno dalla guerra, l’equipe che si era occupata di tale studio continuò le ricerche cominciando a delineare le prime caratteristiche che rendono persuasivo un messaggio, andando a diversificare i fattori connessi alla fonte della comunicazione, al contenuto del messaggio, al canale di comunicazione e all’audience.

McGuire e gli studiosi di Yale elaborarono le fasi del processo di persuasione nel “Paradigma dell’elaborazione dell’informazione” differenziando le seguenti fasi:

  1. esposizione del soggetto al messaggio
  2. attenzione al medesimo
  3. comprensione dei suoi contenuti
  4. accettazione della posizione in esso contenuta
  5. memorizzazione della stessa
  6. azione

Parallelamente a questi studi condotti a Yale, che vedevano il ricevente del messaggio come un soggetto passivo, i ricercatori della State University dell’Ohio (ideatori dell’approccio della risposta cognitiva), consideravano il ricevente del messaggio come una parte attiva del processo di persuasione in quanto fermamente convinti dell’importanza dell’opinione di colui che era sottoposto al messaggio. Ciò che veniva messo in evidenza era la componente secondo cui se un messaggio era chiaro (ma non convincente), diventava così facile controbattere da rendere nullo il potere persuasivo del messaggio. Se di converso gli argomenti risultano convincenti, le opinioni sono più favorevoli e la persuasione più probabile. L’approccio della risposta cognitiva aiuta a capire perchè la persuasione funziona più con alcune situazioni che con altre.

Due sono i modelli sviluppati all’interno di questo approccio: il modello della Probabilità di Elaborazione (EML) di Richard Petty e John Cacioppo e il modello Euristico sistematico di Alice Eagly e Shelly Chaiken. Entrambi i modelli (che considerano l’essere umano un economizzatore di risorse cognitive), prevedono due vie e considerano la motivazione e le abilità cognitive del soggetto come fattori fondamentali. Le differenze tra i modelli, risiedono nel rapporto tra le due vie: nell’ELM sono alternative mentre nel modello euristico sistematico le due modalità di elaborazione non si escludono ma si potenziano reciprocamente in caso di accordo oppure tendono ad attenuare gli effetti del processo persuasivo in caso di discordanza.

Spostiamo l’attenzione sull’ELM poichè è tutt’ora uno dei modelli maggiormente accreditati in merito agli studi sulla persuasione.

La via centrale nell’ELM è un processo di elaborazione sistematica e attenta delle informazioni contenute nel messaggio persuasivo. Questo processo comporta un’attenta valutazione delle informazioni fornite dal messaggio tanto da rapportarle con le informazioni che già sono in possesso, in merito allo specifico argomento. Se le argomentazioni sono forti e convincenti, è probabile che persuadano; di converso se le informazioni risultano (paragonandole con quelle già in possesso) deboli, il messaggio perderà la sua portata persuasiva.

Tuttavia la portata degli argomenti contenuti in un messaggio, non è la sola componente importante; è ciò che accade – ad esempio- se non si è particolarmente motivati oppure se si è distratti e non ci si può concentrare sul messaggio. In tal caso è la via periferica alla persuasione ad essere coinvolta: ci si focalizza sugli aspetti superficiali del messaggio che sono quelli che portano ad una scelta non mediata dalla riflessione. In questo caso ad avere maggior presa sono le affermazioni familiari o facilmente comprensibili. Questa via è quella che viene preferita ad esempio dai pubblicitari. Durante la spesa o una pubblicità, se si vuole portare il consumatore ad acquistare un prodotto tedesco (ad esempio una birra) è molto probabile che il tutto sia accompagnato da una musica tipica tedesca così come una musica francese può invece indurre il “consumatore rilassato” verso l’acquisto di un formaggio francese.

Analogamente esser o meno colpiti da un certo tipo di messaggio piuttosto che un altro (vedi il riferimento precedente alla tac) risiede nel aver maggiormente “attivata” la via centrale o periferica. I due fattori chiave che determinano la scelta dell’una o dell’altra via sono la motivazione(la rilevanza che ha per noi l’argomento del messaggio) e l’abilità cognitiva (si intende sia l’intelligenza del soggetto sia l’assenza di condizioni di disturbo e distrazione).

I ricercatori hanno in definitiva compreso che le due vie portano a cambiamenti diversi. La via centrale conduce a un cambiamento più duraturo rispetto alla via periferica. Quando infatti le persone pensano attentamente ed elaborano mentalmente delle questioni non diviene più importante solo il contenuto del messaggio quanto piuttosto il quantitativo di riflessione a cui le persone devono abbandonarsi. Quando infatti qualcosa ci spinge a pensare profondamente tanto da intaccare anche i nostri atteggiamenti, è più probabile che il cambio di atteggiamento persista tanto da resistere a futuri attacchi volti a scardinarlo .

E voi? siete più tipi “di pancia” o siete maggiormente predisposti all’uso della via centrale?

Finisce bene quel che comincia male.

Dott.ssa Giusy Di Maio.