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Fidati (che ti penso).

Quella strana sensazione di essere al sicuro, di sentirsi pensato e contenuto. La possibilità di poter contare sulle proprie e altrui capacità; quel qualcosa di strettamente legato (fino a farne -quasi- scomparire i confini), alla dimensione della cura.

Collegata alle prime relazioni allacciate con il caregiver -la fiducia- potrebbe indicare quella sorta di rete di protezione (analoga a quella che hanno i circensi) che spinge l’umano che entra in relazione, a “buttarsi” potendo contare proprio sulla sensazione di avere quella rete di protezione tesa e pronta lì a contenere e attutire una eventuale caduta.

“Dottoressa ti devo dire una cosa… non l’ho detta nemmeno alla mia migliore amica: allora…”

“Doc vi devo dire una cosa che però è troppo brutta e imbarazzante, la posso scrivere?”

“Dottoressa riflettevo in questi giorni che ci hanno separati da un nuovo incontro. Ho pensato molto a quanto mi ha detto, a quanto ci siamo detti. Vorrei dirle una cosa ma mi sento in difficoltà, sono pur sempre un uomo di una certa età ma mi rendo conto che sia giunto il momento di affrontare una certa questione”.

“Pensatemi! Dottorè mi raccomando!

E ti penso… ti penso eccome…

Vi penso.

Quando un paziente va via (riferisco ai giovani, agli adolescenti spaesati), può contare su una mia frase “Non ti preoccupare che ti penso. Buona settimana!”.

Sentirsi pensati, accolti all’interno di una dimensione (lo spazio mentale altrui) fa sentire al sicuro, protetti e considerati: è la fiducia.

“Quando l’uomo non ha più fiducia, l’assenza diventa una presenza cattiva.”

Melanie Klein

Comunque: vi penso tutti.

Sempre.

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.

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