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Freud e la teoria della libido

Un apporto alla propria teoria della libido Freud lo coglie dalle osservazioni della vita psichica di bambini e dei primitivi (Freud era molto interessato agli studi sulle popolazioni antiche e primitive).

Secondo Freud, proprio nei bambini e nei primitivi si potrebbero annoverare delle peculiarità che potrebbero rientrare nelle manifestazioni del delirio di grandezza : “una sopravvalutazione del potere dei propri desideri e atti psichici, l’onnipotenza dei pensieri, una fede nella virtù magica delle parole e una tecnica per trattare con il mondo esterno, la magia” (S. Freud).

Immagine personale

Il concetto è di un investimento libidico dell’io, in origine. In seguito, queste pulsioni libidiche, possono essere investite e quindi cedute ad oggetti esterni, ma sono suscettibili di essere poi tirate indietro.

Si osserva, quindi, una contrapposizione tra libido oggettuale e libido dell’Io. Quanto più si usa l’una tanto più si depaupera l’altra.

Sempre secondo Freud, il punto più alto della libido oggettuale è raggiunto nello stato di innamoramento, quando si ha un completo investimento d’oggetto e una rinuncia del soggetto alla propria personalità, al proprio io; la situazione opposta la si riscontra nella fantasia della “fine del mondo”, propria dei paranoici.

Le due forze libidiche, nello stato originario narcisistico coesistono, solo nel momento di un investimento oggettuale è possibile discriminare una energia sessuale, la libido, da quella delle pulsioni dell’Io.

Non esiste nell’individuo, sin dall’inizio, una unità paragonabile all’Io.

Le pulsioni autoerotiche sono invece primordiali, quindi deve ancora aggiungersi qualche cosa all’autoerotismo affinché diventi narcisismo.

L’individuo conduce effettivamente una doppia vita come fine a se stesso e come anello di una catena di cui è strumento contro o comunque indipendentemente dal suo volere. Egli considera la sessualità come uno dei suoi propri fini; ma, da un altro punto di vista, egli stesso non è che un appendice del suo plasma germinale a disposizione del quale pone le proprie forze in cambio di un premio di piacere… La differenziazione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io non farebbe altro che riflettere questa duplice funzione dell’individuo.”

Sigmund Freud

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi

Rapporto sessuale, orgasmo e pipì.

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Durante le terapie di coppia, accade spesso che i due partner giungano a raccontare del momento in cui -in seguito all’orgasmo- la coppia “si divide” portando al seguente scenario: lei vuole le coccole e lui corre in bagno nella speranza di fare la pipì.

La corsa disperata del maschio – verso il WC- termina però (certo spesso che non vuol dire sempre.. ) con una lunga attesa.

Cosa c’è di scientifico in questo comportamento?

Quando si ha un orgasmo, il cervello rilascia una grande quantità di ossitocina (in misura maggiore in quello femminile) e di vasopressina (di più in quello maschile). Questi neurormoni aumentano il livello di dopamina (sostanza chimica del piacere) e hanno il compito di legare maggiormente la coppia, favorendo il reciproco attaccamento.

E’ in particolare la vasopressina, a stimolare nell’uomo una maggior energia, attenzione e concentrazione nei confronti della partner; si tratta in sostanza della spiegazione – per così dire- chimica del “pensiero fisso” che distingue una coppia di innamorati.

La vasopressina ha però anche un “effetto collaterale”; è infatti un ormone antidiuretico che porta a rallentare l’espulsione della pipì.

Dalla base fisiologica si giunge a quella psicologica.

Rendere più lenta l’espulsione della pipì (che a livello psicologico si presenta, invece, come un bisogno impellente), ha lo scopo di allungare il momento delle coccole e della tenerezza post orgasmo.

Sfiorarsi, coccolarsi, ridere e addormentarsi dopo aver fatto l’amore, ha lo scopo di cementificare e rinsaldare la coppia.

Ed anche qui… c’è lo zampino della chimica!

“Finisce bene quel che comincia male”.

Dott.ssa Giusy Di Maio.