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Giornata Mondiale del Pianoforte

Per la Giornata Mondiale del Pianoforte ho a lungo scavato nella memoria delle mie emozioni.

Il viaggio si è fatto pelle nel momento in cui, negli oltre 23 anni in cui la musica ha deciso di farsi accompagnare da me, qualcosa nella sintonizzazione dei miei tre registri di lacaniana memoria (immaginario, simbolico e reale) ha sovvertito il suo presunto ordine.

Il viaggio -come dicevo- si è fatto allora pelle e tendini (tipo quelli che sono perennemente infiammati quando suoni ore, ore e ore).

Il viaggio si è fatto ricordo: quello delle ore interminabili in cui i polpastrelli delle dita hanno sviluppato solidi ma piccoli e protettivi calli lì, proprio su quella punta sottile ed esile.

Il viaggio si è fatto, inoltre, dolcezza ripensando al primo pianoforte di quel color viola/vinaccia.

Il viaggio si fa, nel momento presente, aroma consistente e persistente: quello di quando apro il pianoforte e -nonostante gli anni- c’è un solo profumo che persiste e mi ripropone tutti gli insegnanti (i presunti maestri) incontrati, le amicizie musicali, gli amori armonizzati nel frattempo.

I tasti bianchi e neri (i neri sono più simpatici e interessanti) sanno di sudore (e anche di sciatalgia in giovanissima età).

Nell’ordine di 52 bianchi e 36 neri, melodici e armonici tasti racchiudono l’essenza della mia storia.

Che cos’è allora un pianoforte?

L’amore puro: l’unico di cui sono sempre stata disposta a sostenere la fatica, il senso di svalutazione, il crollo emotivo, i giochi di potere.

(Me le ricordo certe uscite dalle aule dei conservatori..)

Cosa sono allora questi tasti bianchi e neri..

Qualcosa che è in me (e sempre sarà) in un luogo protetto e sicuro, impenetrabile, impercettibile che suona e risuona costantemente affiancando il mio sincopato battito cardiaco.

#WorldPianoDay

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Internet Addiction Disorder – Storia di una “nuova” dipendenza – PODCAST

In questa tappa del nostro viaggio viaggeremo attraverso le numerose e oramai infinite strade della rete, alla scoperta del mondo virtuale e dei pericoli che nascondono le sue intricate maglie in cui spesso si resta imbrigliati.

Parleremo della faccia virtuale della dipendenza, quella da Internet.

Il Disturbo da dipendenza da Internet o IAD è un termine ampio (può infatti considerarsi come un contenitore in cui possiamo inserire diverse sfaccettature psicopatologiche) che descrive un disturbo del controllo degli impulsi caratterizzato dal trascorrere troppo tempo su Internet, sulle app di messaggistica, sui siti di incontri, scorrendo i social media o le notizie, giocando online, guardando video di YouTube, ecc.

Nel 2013 la IAD è stata inserita nella Sessione III del DSM-5 (la proposta di classificazione dell'”Internet Gaming Disorder”) tra i disturbi di Dipendenza Patologica; Ciò vuol dire che si tratta di una proposta di nosografia diagnostica che necessiterà quindi di ulteriori studi sperimentali prima della sua validazione definitiva.

Come le altre dipendenze la dipendenza da Internet può interferire con la vita sociale; con la vita familiare e coniugale; con il lavoro generando anche problemi economici. Essere off-line per una persona dipendente porta malessere e disagio (astinenza).

Buon Ascolto!

Internet Addiction Disorder – Storia di una “nuova” dipendenza – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
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#podcast #inviaggioconlapsicologia #ilpensierononlineare #dipendenza #internetaddiction

Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Pillole di Psicoanalisi: sul senso di solitudine.

La psicoanalista austriaca Melanie Klein, nel suo lavoro incentrato sulla valutazione del nostro mondo interno, pone una riflessione sul senso di solitudine.

Quando -chi scrive- riferisce al senso di solitudine, intende non quella situazione oggettiva in cui ci si trova quando il soggetto è privo di compagnia (solo) ma riferisce al sentirsi soli indipendentemente dalle circostanze esterne (il senso di solitudine interiore) anche se si è circondati da amici e persone.

Cosa intende allora Melanie Klein?

Secondo l’ipotesi della psicoanalista, lo stato di solitudine interna è il risultato di una aspirazione cui tutti mirano in qualche modo; una aspirazione che cela una condizione irraggiungibile ovvero la perfezione interiore.

Questa solitudine che, è bene dirlo, tutti sperimentano nasce da angosce paranoidi e depressive che derivano a loro volta da angosce psicotiche del bambino. Queste angosce sono infatti presenti in misura maggiore o minore in ognuno ma, nei casi patologici, lo sono in forme particolarmente violente.

Il senso si solitudine appare allora anche come un aspetto sia della patologia schizofrenica che depressiva.

Per comprendere come nasca il senso di solitudine, dobbiamo ritornare al primario rapporto che si instaura tra madre a bambino. Per la Klein l’Io è presente fin dalla nascita (per Freud no) anche se manca molto di coerenza ed è dominato da meccanismi di scissione.

Il pericolo, infatti, di venir distrutti dall’istinto di morte diretto contro di sé contribuisce alla scissione degli impulsi in buoni e cattivi ed è proprio in seguito alla proiezione di questi impulsi sull’oggetto primitivo che anch’esso è scisso in una parte buona e cattiva.

Ne consegue che nei primissimi stadi, la parte buona dell’Io e l’oggetto buono sono, in qualche misura, protetti poiché l’aggressività non è rivolta contro di loro.

La Klein descrive proprio questi particolari processi di scissione come la base di una relativa sicurezza nel bambino mentre altri processi di scissione (come quelli che portano alla frammentazione), sono nocivi per l’Io e la sua forza.

Nei primi mesi accanto allo stimolo a compiere la scissione è già presente un impulso all’integrazione che cresce con il crescere dell’Io.

Alla base di questo processo di integrazione sta l’introiezione dell’oggetto buono che dapprima è un oggetto parziale (il seno materno). Se l’oggetto interno buono è radicato in maniera abbastanza stabile diviene il centro di sviluppo dell’Io.

Un soddisfacente rapporto precoce con la madre (che può tranquillamente essere rappresentato dal biberon che rappresenta simbolicamente la mammella, quindi non è necessario che vi sia un allattamento al seno), implica un contatto tra l’inconscio della madre e del bambino.

Questa è la condizione fondamentale affinché il bambino possa fare in modo di avere una esperienza completa di esser compreso nella forma preverbale. Successivamente per quanto il comunicare pensieri e sentimenti a una persona amica possa essere un’esperienza gratificante, resta sempre la nostalgia per una comprensione che avviene senza l’uso di parole (il primissimo rapporto con la madre).

Questo desiderio contribuisce a creare il senso di solitudine; esso deriva dal sentimento depressivo di aver subito una perdita irreparabile.

“Finisce bene quel che comincia male”

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Navigare dentro

Alcuni pazienti danno la sensazione di portarmi all’interno di un’apertura della loro pelle.

Non è una ferita, uno squarcio o un “semplice” buco.

Non è una voragine.

Alcune persone che sono innanzi a me durante le nostre terapie, sollevano completamente i lembi della pelle, li aprono e mi portano con loro tra le fibre e le terminazioni nervose.

Vedo ghiandole, follicoli e vasi sanguigni.

Alcune persone che si siedono dall’altro lato della scrivania separano i lembi della pelle e a tempo debito, mi fanno tessuto connettivo -tessuto di supporto- che unisce e protegge gli altri tipi di tessuti.

Quando esco da questa dimensione mi sento bagnata un po’ come quando ti gettano una secchiata d’acqua addosso.

Sono pronta a questo lavoro: sono formata.

Eppure persiste, per certi pazienti, la dimensione dell’inaspettato.

Talvolta sono quelli più giovani che ti portano nelle viscere del loro disagio a “bagnarmi” di più.

E’ il loro sguardo sgranato, quello di gratitudine, di vergogna e di entusiasmo a lasciarmi umida.

L’interno del nostro corpo è tutto tranne che profumato e continuo ogni giorno ad imparare che le puzze peggiori sono spesso quelle dove la terra sta fermentando.

(Anche in assenza di ossigeno c’è una via metabolica che consente di ricavare energia)

“A me piacerebbe parlare con tante te, nella mia vita di tutti i giorni. Anche se mi capita di incontrare qualcuno che in linea generale, capisce il mio disagio, non capisce mai come mi sento davvero dentro. Certe volte vorrei portare le persone dentro di me e dire -guarda! ecco qui cos’è, questo com’è.. Guarda qua!-.

Quando vengo ai nostri incontri in effetti mi sento capito perché prima di tutto non mi sento malato. Ripenso sempre a quando mi dicevi che non sono la mia stessa malattia a quanto stessi sbagliando (sì, uso questa parola anche se non ti piace Dottorè), quando continuavo a buttare davanti a tutto le mie ossessioni.

Mi sento visto dentro e non come malato ma come persona: come Emanuele.

Ne sono convinto: la miglior cosa di tutta la mia vita resterà aver chiesto aiuto ed aver permesso che mi si navigasse dentro”

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Dov’è la Biglia? Test della Falsa Credenza

Che cos’è la capacità metarappresentazionale?

E quando si sviluppa la teoria della mente? Quando siamo, in sostanza, capaci di capire che l’altro può avere sentimenti o emozioni che non necessariamente sono come quelle che sentiamo e viviamo noi?

E’ possibile che il nostro comportamento sia orientato da una falsa credenza?

Scopriamolo con il nostro approfondimento.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Eventi Critici e Famiglie – Psicologia familiare – PODCAST

Questa tappa del nostro viaggio ci permetterà di osservare alcuni aspetti “critici” dell’evoluzione dei sistemi familiari che durante il loro ciclo vitale possono in un modo o nell’altro incontrare eventi che ne possono scandire le diverse fasi della vita.


Gli “Eventi Critici” (matrimonio, nascita dei figli, crescita dei figli, lutti..), che possono essere Paranormativi o Normativi, scandiscono le diverse fasi del ciclo vitale di tutte le famiglie e la loro risoluzione permette il passaggio allo stadio successivo.

Buon Ascolto..!

@ilpensierononlineare

Eventi Critici e Famiglie – Psicologia familiare – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
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#inviaggioconlapsicologia #ilpensierononlineare #podcast #podcastshow #podcastpsicologia #inviaggioconlapsicologiapodcast #ilpodcastdipsicologia

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Il dolore del dolore

Una paziente mi chiese quando un dolore cominciasse a fare meno dolore; quando -in sostanza- avrebbe cominciato a sentire “come una volta” il piacere dell’abbraccio, il calore sul viso, il profumo di un fiore.

L’esperienza dolorosa è devastante poiché per quanto condivisa è sempre prima di tutto nel silenzio del proprio mondo interno che avvertiamo il senso devastante del dolore.

Il dolore può essere prettamente psicogeno o organico; può accompagnarsi o essere accompagnato da una specifica patologia o essere la spia di una psicopatologia.

Il dolore ha il tempo del dolore; un tempo che richiede la nostra piena attenzione e volontà.

Attenzione per se stessi, il proprio mondo interno, la propria storia personale scevri dal giudizio personale che vuole etichettare la nostra stessa storia.

Capita sempre di più (e anche qui, l’epoca social molto fa) che le persone decidano di darsi una etichetta psicodiagnostica e che si barrichino dietro questa definizione.

Ciascuno è -ovviamente- libero di vivere la propria condizione dolorosa con la delicatezza che più sente rispettosa verso il proprio processo di costruzione di sé ma va anche detto che la psicologia ha fatto tantissimo, negli anni, per distaccarsi dalla medicalizzazione del disagio psicologico arrivando -ad esempio- all’importantissima diagnosi funzionale dove più che parlare di deficit e “aspetti che non funzionano” si punta e di fa leva, lavorandoci, sviluppandole ulteriormente e valorizzando le aree funzionali della persona stessa che in questo modo, non è vista come solo “depressa, ansiosa, anoressica, disgrafica”.

Il tempo del dolore è quel tempo che serve per viaggiare tra, dentro, intorno, sopra, sotto, di fianco nel/al dolore stesso. Questo tempo terminerà quando la condizione originaria che portava il dolore stesso (la perdita, la malattia, etc..) non farà più così paura o dolore ma sarà seme per ricominciare o proseguire.

Il lutto di una persona cara, del nostro animale domestico, cesseranno di far dolore quando avremo la forza per guardare un certo oggetto o ripensare a quella cosa (ricordo, evento) senza abbandonarci più a lacrime continue ma quando quel ricordo renderà lucidi sì gli occhi, ma riuscirà ad aprire a nuove possibilità.

“Prendiamo un nuovo cane?/ Ho deciso di accettare quell’appuntamento/ Nonna faccio le polpette come le facevi tu! e che successo la cena con gli amici!”

Il tempo non ci è nemico a patto di riuscire a danzare insieme a lui (che siamo o meno, bravi ballerini!)

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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DISINFORMAZIONE

Avrei gradito molto poter fare qualche dissertazione psicologica.

Mi sarebbe piaciuto, e non poco, parlare della psicologia della disinformazione aprendomi a tutte le teorie che i miei studi (quotidiani) nonché la pratica clinica (quotidiana) mi mettono innanzi.

La verità è che in quella che chiamano italia, molte cose non sono possibili.

Che l’italia non sia mai esistita è -ovviamente- un dato di fatto.

Ci vogliono palle e coraggio per raccontare verità e non false costruzioni create appositamente per distruggere e denigrare.

Napoli (r)Esiste da sempre e per sempre, orde barbariche o meno di un certo nord che non si può pronunciare che, mescolatosi ad altro nord d’Europa, viene in casa mia a distruggere la bellezza.

La bellezza è questa:

https://www.calcionapoli24.it/notizie/pazzesco-osimhen-elevazione-da-record-salto-da-2-metri-e-40-sul-n553633.html

#ForzaNapoliSempre

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Con-tatto fisico ed emotivo: l’opera di René Spitz 

Pensi sia più importante il contatto fisico/emotivo nei confronti del bambino oppure credi che possano bastare le sole cure igieniche, per esempio?

Non di rado i genitori sostengono di adempiere correttamente a tutte le cure necessarie, nei confronti dei loro bambini, e questo è assolutamente vero!

Cosa potrebbe allora mancare o essere deficitario, all’interno di una relazione calda, con i nostri bambini?
Scopriamo le straordinarie ricerche di René Spitz.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Un po’ sorrido un po’ (tanto) mi incazzo

Capita certe volte di sentirsi quasi in difficoltà per la posizione che si riveste.

Lavorare per/con il sociale, per così dire, ti mette a stretto contatto con le assurdità della contemporaneità in una maniera molto più incisiva complice, ahimè il mio essere esperta di salute mentale.

L’introduzione che parrebbe gettata un po’ così al limite della lamentela (cosa che notoriamente, non mi appartiene), trova senso nell’odierna giornata di “festa”.

L’otto marzo porta con sé riflessioni estreme che andrebbero assolutamente estese alla restante parte dell’anno ma, essendo questo giorno, il giorno, mi sento in dovere di condividere con voi qualche riflessione che è indirizzata anche (e soprattutto) dall’esperienza clinica ovvero quella reale e non letta, immaginata o fantasticata..

Essere donna sembra quasi esser diventato un compito: un dovere.

Sei lì, dalle tue forme femminili contenuta e tutti si aspettano qualcosa da te; un qualcosa che è socialmente preconfezionato e precostituito, un qualcosa verso cui non hai particolari diritti.

La grande problematica che avverto, oggi, è l’impossibilità (e siamo addirittura nel 2023), di poter scegliere del mio corpo, del mio lavoro, della mia vita. Non posso scegliere cosa (e se) condividere online, non posso scegliere cosa indossare e come, non posso scegliere chi amare e quando. Non posso scegliere se amare, se procreare, se lavorare.

Sono obbligata (in maniera tacitamente accordata) ad essere elegante, compita e silenziosa; devo essere sensuale, felina, ammiccante. Devo darti piacere, comprensione, amore. Devo capire se mi vuoi mamma o puttana e se devo essere per te, mamma, la puttana te la trovi nell’altra che può solleticare la tua fantasia come io, non posso fare.

Devo esserti complice e farti la strada mentre tu, amore mio, sarai la stella che percorre la strada in cui io sarò dietro un lampione spento.

Mi sarà chiesto se ho intenzione, nei prossimi cinque anni, di diventare madre e questo durante un colloquio di lavoro che nulla c’entra con la mia scelta di vita personale.

Sarò giudicata perché avrò scelto la strada della passione sacrificando, nell’ottica altrui, la strada della certezza della vita domestica.

Mi sarà chiesto notte e giorno “ma un figlio quando lo fai?! ma magari il prossimo anno metti in cantiere un bambino!”

In cantiere: ma che significa?

Sarò giudicata se avrò lasciato un lavoro per dedicarmi alla famiglia perché nessuno crede che casalinga possa essere una scelta di vita; sarò parimenti giudicata se preferirò lavorare scegliendo di non procreare.

Sarò pagata di meno perché “sì”, così si fa.

Giudicata se prenderò la maternità e se mai dovesse capitare di restare incinta subito dopo il primo bambino sarò: licenziata.

Abusata dagli sguardi altrui, molestata, violata e toccata quando non hai chiesto il mio permesso oppure quando ti ho in maniera esplicita detto: NO!

Violata perché condivido una foto generica che mi rappresenta e obbligata a dover accettare squallidi e languidi commenti assolutamente non richiesti.

Eletta a ruolo di musa ma io da te non voglio belle parole: voglio il tuo sangue, la tua carne, il tuo respiro su di me. Voglio il tuo corpo, certo, ma voglio la tua presenza costante in me.

Sono grassa o troppo magra.

Avrò sempre troppa cellulite, troppo culo poco seno.

Avrò poca cellulite e niente fianchi secca come un manico di scopa.

Che seno floscio!

Oddio come sei ingrassata con la gravidanza mammamia che schifo!

Ma la pancia non si vede proprio, sei sicura di essere in attesa?

E’ faticoso. Noioso. Snervante.

Non sono proprietà di nessuno se non di me stessa.

Non sono un seno, un capezzolo, un culo.

Rigonfio le mie labbra e le riempio di filler per solleticare la fantasia di qualcuno che rivede nelle mie labbra strane associazioni sessuali.

Che imbarazzo, che vergogna.

Ascoltare ragazze di 16/17 anni desiderare di ricevere uno schiaffo così “mi dimostra davvero quanto mi ama!”

Un po’ sorrido è vero ma un po’ -tanto- mi incazzo perché lo sconforto e la paura per il modo in cui è richiesto di essere donne, alle donne, è terrorizzante. E ancora più terrorizzante è il fatto che le donne, oggi, si stiano lentamente convincendo che questo va bene!

No, non commettere il solito errore qui non c’è caccia alle streghe che tenga. Il mio riferimento non è a una persona specifica. Mi riferisco a mia madre, mia sorella, mia zia, la mia amica, mia cognata, mia nonna. Mi riferisco a mia figlia a cui auguro l’incertezza dei sogni e la delicatezza delle passioni. Con i piedi ben piantati nella terra e la mente quella sì sui tacchi, libera di esprimersi e di esistere senza insistere.

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Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Suono si nasce

Nel suono nasciamo immersi come siamo, nel bagno del ritmo del battito cardiaco materno che accompagna la nostra crescita quando nell’utero siamo accolti.

Nel suono incontriamo l’altro offrendo lui le nostre produzioni sonore (le parole); nella negazione del suono evitiamo o respingiamo l’altro (la negazione della parola).

Si parla, si canta, si tamburella un ritmo.

Una certa melodia è mia, una tua, sua e spesso nella “nostra canzone” incontriamo e rinsaldiamo l’amore.

Questo è il mio suono: uno shampoo veloce di prima mattina in una giornata di almeno 30 gradi. I capelli grondanti percorrono i solchi della schiena mentre stendo i vestiti porgendoli all’ingordo sole che da loro, risucchia tutta l’acqua..

Una gonna leggera e colorata, della scarpette di tela senza lacci, una canotta sottile e corta un bracciale pesante e avvolgente quasi su, vicino la spalla.

Si corre in strada, in studio.

Si prende un caffè al volo, magari a via Duomo, c’è il vociare del mercato, le canzoni che le signore cantano nelle loro cucine vista blu profondo.

C’è calore, c’è suono..

C’è emozione.

I capelli sono ormai asciutti e un riccio continua imperterrito a cercare l’affetto del rossetto rosso che avido ricopre le labbra.

Lo studio è in un vicolo fresco che squarcia -facendo l’occhiolino- la bollente strada principale.

Canto perché questo so fare: giocare con il ritmo, prendermi gioco del suono, abbracciare il silenzio e camminare -mano nella mano- con il palcoscenico della vita.

Tu: che suono sei?

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Amore e Psiche. Dal “Colpo di Fulmine” all’Amore – PODCAST

“Così per amare, bisogna imparare prima a pazientare, a sapere stare da soli, ad accettare l’altro e rispettarlo; importante poi è avere fiducia in se stessi perché in fondo è nel rapporto con il proprio sé che si sviluppa il rapporto con il prossimo.”

“Il carattere attivo dell’amore diviene evidente nel fatto che si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d’amore. Questi sono: la premura (o cura), il rispetto, la responsabilità e la conoscenza.”

Erich Fromm

Questa tappa del nostro viaggio ci farà volare in alto come il sentimento più forte che noi umani conosciamo, l’amore.
Oggi approfondiremo la conoscenza di questo sentimento prima analizzandolo al suo esordio, magari osservando più da vicino il fenomeno noto come “Colpo di Fulmine” e poi ne approfondiremo anche alcuni aspetti puramente psicologici attingendo ad alcuni concetti di Erich Fromm sull’amore e sulla relazione d’amore.

Buon Ascolto..

Amore e Psiche. Dal “Colpo di Fulmine” all’Amore – SPREAKER PODCAST
Amore e Psiche. Dal “Colpo di Fulmine” all’Amore – SPOTIFY PODCAST

@ilpensierononlineare

#podcast #psicologia #podcastpsicologia #amore #ilpensierononlineare

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Disturbo Da Dismorfismo Corporeo (BDD) 

Una paziente non usciva più dalla propria casa perché era convinta di essere un mostro, di essere deforme, nonostante questa deformità fosse assente dal suo viso.

Un’altra paziente non riusciva a lasciare un microscopico specchio tenuto sempre tra le sue mani con cui doveva controllare, continuamente, che tutto fosse sotto controllo.

Abuso di make-up, abbigliamento strano, che cosa c’entra tutto questo con il BDD – Disturbo Da Dismorfismo Corporeo, disturbo sottostimato, tornato alla ribalta in seguito alle dichiarazioni fatte dal cantante Marco Mengoni che ha ammesso di averne sofferto.

Si tratta di un disturbo inserito all’interno del DSM5 nei disturbi ossessivo-compulsivi che si caratterizza per un’eccessiva e persistente preoccupazione per alcuni difetti fisici corporei. Questi difetti fisici possono essere presenti ma minimi, oppure totalmente assenti.

Scopriamo insieme, anche attraverso l’esperienza clinica, cos’è il BDD e come riconoscerlo.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Brandelli

Brandello, brandelli (di corpi, di sogni) lacerato, lacerati, strappati con violenza dalle terre (di nascita, di speranza).

Brandello, brandelli (di corpi, di sogni) pezzi di carne disseminati qua e là, capelli volanti, occhi sgranati.

Terrore.

Brandello, brandelli (di corpi, di sogni) lacerato, lacerati – ammazzati- dalla politica, dalle chiacchiere, dalle parole arroganti di propaganda, dai conti, soldi, faccende varie.

Brandello, brandelli (di corpi, di sogni) lacerato, lacerati contro gli scogli eviscerati ma no, non sono animali, sono umani.

Miei fratelli, mie sorelle, miei figli, miei amici, mie madri e padri.

Brandello, brandelli di sogni -quelli miei- che sia presto un sogno -tutto questo- e che il mare sia finalmente utero fecondo di nascita e non più terra cimiteriale.

Crotone, Febbraio 2023.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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Le storie che ci appartengono – Psicologia della Famiglia – PODCAST

“Noi pensiamo per storie perchè siamo costituiti da storie, immersi in storie, fatti di storie”

Gregory Bateson

Le “tappe” del nostro “Viaggio nella Psicologia” che vi propongo oggi, ci faranno vivere per qualche minuto come personaggi di storie. Storie che partono da antichi miti. Perché in qualche modo noi tutti siamo parti attive nel racconto della nostra storia.

Narrazioni che partono da lontano e che in qualche modo condizionano il nostro presente e il nostro futuro.

Nel primo episodio vi parlerò più in generale del mito e della sua importanza per i contesti sociali, per le comunità, i gruppi e per i singoli individui.

Nel secondo episodio invece vi parlerò più nello specifico del “mito familiare” e dell’importanza che ha assunto nella comprensione dello studio del funzionamento psicologico delle famiglie dal punto di vista della Psicologia Sistemico Familiare e quindi dell’importanza che assume per ogni persona.

Buon Ascolto..

In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

Storie miti e narrazioni transgenerazionali (puoi cliccare sul link per ascoltare l’episodio o potete trovarlo e ascoltarlo nella playlist del nostro podcast In Viaggio con la Psicologia. )

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“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Psicologia in Pillole – Lo Stress può influire sulla memoria e sulla concentrazione ?

Il campo della nostra coscienza è molto piccolo. Accetta solo un problema alla volta.

(Antoine de Saint-Exupéry)

Lo sapete che carichi di stress molto elevati posso incidere negativamente sul nostro benessere psicologico e spesso provocare cali di concentrazione, dimenticanze e stati dissociativi ?

Come diceva Daniel Goleman, lo stress può rendere le persone stupide, proprio a causa della sua influenza negativa sul normale funzionamento cognitivo.

Lo Stress può influire sulla memoria e la concentrazione? – ilpensierononlineare – Youtube Channel

“Finisce bene quel che comincia male”

dott. Gennaro Rinaldi
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Le nevrosi (da guerra)

L’approfondimento di oggi ci porta tra le stanze della storia della psicoanalisi.

Di ritorno dalla prima guerra mondiale, i soldati che erano stati impegnati nel conflitto bellico mostravano una strana sintomatologia nevrotica che però si presentava diversa da ciò che fino a quel momento si conosceva circa la nevrosi.

Non si mostrava, ad esempio, un conflitto tra pulsione di autoconservazione e sessuali, ma c’era qualcosa di diverso..

Scopriamo insieme le nevrosi di guerra.

Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    “Nasceranno”

    Ogni popolo che soffre è nel mio cuore.

    Ogni popolo.

    Nasceranno da noi
    uomini migliori.
    La generazione
    che dovrà venire
    sarà migliore
    di chi è nato
    dalla terra,
    dal ferro e dal fuoco.
    Senza paura
    e senza troppo riflettere
    i nostri nipoti
    si daranno la mano
    e rimirando
    le stelle del cielo
    diranno:
    “Com’è bella la vita!”
    Intoneranno
    una canzone nuovissima,
    profonda come gli occhi dell’uomo
    fresca come un grappolo d’uva,
    una canzone libera e gioiosa.
    Nessun albero
    ha mai dato
    frutti più belli.
    E nemmeno
    la più bella
    delle notti di primavera
    ha mai conosciuto
    questi suoni
    questi colori.
    Nasceranno da noi
    uomini migliori.
    La generazione
    che dovrà venire
    sarà migliore
    di chi è nato
    dalla terra,
    dal ferro e dal fuoco.

    Nasceranno uomini migliori

    Nâzım Hikmet Ran 

    E’ molto probabile che questi uomini siano già nati o ri-nati. Le immagini dei bambini estratti vivi dopo tutte queste ore interminabili, assurde, assordanti scuote mente ed anima fino a farsi sentire nel corpo come una profonda pesantezza; pesantezza di qualcosa che può sempre essere contenuta (nel caso di catastrofi naturali) se non evitata (come nel caso della guerra).

    🌻

    A Voi tutti il mio pensiero.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    “Come fate?”

    “Ho una domanda da farvi -Docs- ma voi, dopo che sentite tutti i problemi della gente, non vi sentite male? No davvero.. me lo chiedo sempre perché io, per esempio, quando parlo con qualche mia amica che ha qualche problema, dopo mi sento.. ceh.. mi sento proprio male. Come fate?”

    Durante un colloquio in co-conduzione, una ragazzina di 11 anni -straordinariamente intelligente- ha posto questa domanda.

    La sua curiosità mi ha profondamente commossa, cosa che le ho prontamente riferito, perché uno spostamento del genere nei panni dell’altro è cosa assai rara.

    Potrei argomentare in molte maniere e modi ma preferisco tenere la realtà che va sempre accolta, amata e protetta, per me e per chi ha vissuto quel momento.

    Non fermiamoci mai a ciò che “passa” online sui nostri giovani.

    Conosciamoli -davvero- mantenendo il giudizio fuori dal nostro incontro che altrimenti, diventa scontro.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Morire durante un attacco di panico.

    L’approfondimento di oggi risponde a una domanda che mi viene frequentemente posta durante i colloqui clinici: “dottoressa posso morire durante un attacco di panico?”

    I sintomi di un attacco di panico sono profondamente spaventosi e invalidanti; ma è davvero possibile che qualcuno di questi sintomi possa diventare così forte da portare alla morte la persona?

    Scopriamo insieme perché non avrai un infarto, un ictus e perché non morirai soffocato oppure stai diventando pazzo.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Società perversa: psicologia e società. PODCAST

    Il viaggio di oggi è una tappa che intende analizzare la nostra società. Attualmente la cosa materiale si sostituisce sempre più alla cosa immateriale al cui interno rientra soprattutto la relazione amorosa, il sesso e la passione erotica.
    Anche il sesso, infatti, è diventato una merce come tante (disponibile tra l’altro all’interno di fredde applicazioni online) ad uso e consumo in luogo delle emozioni e desideri.
    Buon viaggio e buon ascolto.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Famiglia e separazione.

    L’approfondimento odierno intende trattare un tema complesso e attuale. Nei nostri studi entriamo sempre di più in contatto con quelle che sono state delle famiglie e che adesso, nel tempo presente, si presentano come luoghi battaglia; terra di nessuno esposta all’astio, violenza e aggressività.

    E’ sempre devastante incontrare lo scontro della fine di un amore ma ancor di più è devastante osservare le lacrime di bambini e ragazzini che se si fingono forti -nelle mura domestiche- dove avvengono le battaglie, crollano senza sosta tra le mura della stanza d’analisi.

    Analizziamo allora cosa accade quando si passa dalla nascita del primo figlio alla separazione.

    La nascita del primo figlio implica la creazione di un nuovo sottosistema (quello genitoriale) così come la creazione di nuovi legami di attaccamento e la ridefinizione dei rapporti con la propria famiglia d’origine.

    Le coppie in cui i partner non hanno completato il proprio processo di individuazione dalla famiglia di origine e quindi non hanno sviluppato la capacità di ascolto e di accettazione dell’altro come persona né la capacità di cooperazione, molto probabilmente non riusciranno a “fare spazio” (emotivo, affettivo o relazionale) per il nuovo membro della famiglia.

    Si tratta di coppie che sembrano bloccate in uno spazio fusionale in cui non c’è spazio per il figlio. In queste coppie, l’unico modo per riconoscere l’altro (il bambino) che diviene un elemento esterno alla fusionalità che tiene legati i membri della diade è “creare” una frattura tra i due partner per ricreare una nuova coppia fusionale: quella genitore-bambino.

    Il figlio può quindi essere amato, conosciuto e riconosciuto solo dopo che è stato fatto fusionalmente proprio da uno dei due genitori.

    In questo caso si può arrivare all’allontanamento fisico e emotivo dal partner essendo impegnati nella relazione fusionale con il proprio figlio: ecco che in questo caso si giunge alla separazione.

    Una delle configurazioni maggiormente riscontrabili comporta che dopo la separazione, uno dei due partner rientri nella famiglia d’origine.

    Questa scelta di solito è sostenuta da motivi di ordine pratico ma può essere interpretata come il simbolo della scarsa capacità del singolo di organizzare la propria vita personale.

    In questa delicatissima fase, le famiglie d’origine vengono di solito altamente coinvolte nella nella vita dell’uno o altro partner tanto che spesso proprio la famiglia d’origine diviene il sostituto del partner perduto (i nonni accudiscono il figlio in luogo dell’ex partner insieme al figlio/a).

    Le famiglie d’origine, inoltre, entrano a gamba tesa nel conflitto coniugale schierandosi con il proprio figlio e contro l’ex (di converso l’ex spesso accusa per esempio gli ex suoceri come i responsabili della fine del proprio rapporto coniugale).

    E’ in questo momento che arriva la richiesta di separazione.

    Nelle situazioni conflittuali parliamo di chiasma familiare quando il figlio è al centro di dinamiche relazionali disfunzionali quali la triangolazione e la coalizione tra le due famiglie.

    Il minore della famiglia separata a relazione chiasmatica, occupa un ruolo particolare perché da un lato è simbolo dell’unione indissolubile tra le due famiglie (di fatto impossibile) dall’altro l’elemento scatenante del conflitto. Il figlio è al centro del chiasma e ciascuna famiglia ne reclama l’appartenenza al proprio clan. Ne consegue che nel corso del suo sviluppo, il bambino non potrà integrare in un’unica rappresentazione le sue radici e la sua storia a discapito del suo senso d’identità e della percezione della sua continuità.

    Cosa accade quando la famiglia si separa durante l’adolescenza?

    L’adolescente è impegnato dei due principali compiti di sviluppo ovvero individuazione e separazione dalla propria famiglia, ne consegue che durante questa fase del ciclo di vita si vivano continui lutti, separazioni, abbandoni e identificazioni.

    Contemporaneamente i genitori, come coniugi, sono impegnati nella ridefinizione della relazione di coppia e, come individui, nell’elaborazione della crisi dell’età di mezzo.

    L’adolescenza dei figli accresce, nei coniugi, il senso di perdita delle loro possibilità procreative.

    Questa fase della vita familiare è delicata perché si tratta di attraversare un lutto intergenerazionale che comporta il distaccarsi da quella struttura familiare che era funzionale all’infanzia dei bambini per affrontare proprio la separazione/individuazione che ora i figli adolescenti richiedono. In questa fase così caotica si situa spesso la separazione dei coniugi tanto da comportare una doppia separazione per la famiglia.

    I genitori impegnati nella fine del loro rapporto personale, sono meno inclini e propensi ad accogliere le richieste di un adolescente spaesato che ha -invece- proprio in questo momento bisogno più che mai di attenzioni; accade allora che non di rado questi adolescenti abbandonati arrivino ad attuare condotte devianti o comportamenti sintomatici che vengono poi usati da uno dei due ex partner per ottenere qualcosa in fase di separazione “E’ colpa tua se Marco ha gli attacchi di panico! voglio più soldi per pagare la terapia!”

    Le famiglie con adolescenti dovrebbero presentare una maggiore demarcazione dei confini per permettere i processi di svincolo tra genitori e figli ma, in caso di separazione, i confini possono diventare confusi così tanto da impedire lo svincolo.

    Il genitore affidatario può “sedurre” il figlio (per esempio promettendogli cose e viziandolo) così da portare il ragazzo alla collusione a discapito dell’altro genitore. Queste dinamiche diventano più probabili quando il figlio resta solo con un genitore formando una famiglia monogenitoriale dove l’altro è praticamente assente.

    La famiglia monogenitoriale.

    Frequentemente in caso di separazione1 il figlio è affidato alla madre. Tendenzialmente accade che il padre ha magari una nuova compagna e decide, volontariamente, di non voler vedere più i propri figli2. In altri casi assistiamo a quella che prende il nome di sindrome di alienazione genitoriale (Gulotta,1998), per cui il genitore affidatario mette progressivamente in atto una serie di comportamenti volti a svalutare e denigrare l’altro genitore.

    Altre volte può accadere che la madre, rimasta sola, viva la difficoltà nella gestione dell’autorità che prima era rivestita dal padre ora assente. Altre volte accade invece che si arrivi a una relazione troppo invischiata tra figlio e madre giungendo il figlio a vivere una relazione con la madre (sul piano prettamente simbolico) come se fosse il suo partner.

    In altri casi l’adolescente svolge il ruolo di parental child dove tramite una inversione di ruoli il figlio gestisce i propri fratelli oppure deve consolare la madre depressa.

    Anche il ragazzino che appare più forte e che si sente utile in una situazione del genere, vive una difficoltà e arresto nel proprio sviluppo psicoemotivo.

    Continua.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

    1Tratterò il tema dell’affido del minore in maniera non troppo approfondita poiché non si tratta dello specifico oggetto d’analisi dell’approfondimento. In linea del tutto indicativa e statistica, riferirò alla configurazione più nota ovvero quella che comporta l’affido del minore alla madre. Voglio sottolineare che non condivido questa scelta come la più idonea sempre e a tutti i costi. Come credo che i padri non siano sempre del tutto tutelati.

    2 C’è da dire che prima della pandemia erano maggiormente gli uomini che lasciavano la propria famiglia in luogo della costruzione di una nuova “vita”. Nei nostri studi dal 2020 in poi, stiamo assistendo a una inversione quasi, dei ruoli. Molte donne decidono sempre più di lasciare la propria famiglia abbandonando anche i propri figli. E’ qualcosa di cui va preso atto.

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    Disturbi Dissociativi: Fuga Dissociativa (Fuga Psicogena)

    Per fuga psicogena (o fuga dissociativa) si intende un improvviso allontanamento dai luoghi familiari, con un restringimento della coscienza e una successiva amnesia e quindi incapacità a ricordare il proprio passato.

    Uno dei primi casi di fuga dissociativa della letteratura scientifica, è descritto in una tesi di laurea dal dottor Tissiè alla fine dell’Ottocento.

    Tissiè scriveva:

    “Viaggiava ossessivamente, straniato, spesso senza documenti d’identità e a volte senza identità, senza sapere chi fosse o perché viaggiasse, e a conoscenza solo della sua prossima tappa. Al momento del “ritorno” non aveva idea di dove era stato, ma sotto ipnosi riviveva fine settimana perduti, anni perduti”

    Buona visione!

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    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi
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    L’onda

    L’onda scruta, il sale penetra e dalle mobili radici -i miei piedi- il fluido del profondo blu giunge ai miei capelli dopo aver attraversato ogni spazio interstiziale del mio corpo.

    L’acqua salata riempie e rigonfia le sottili intercapedini tra i miei tessuti e diviene possibile, finalmente, lo scambio di molecole fondamentali per le funzioni di base del mio organismo.

    Si raggruppano i miei pori; tanti piccoli vulcani si accarezzano e si scortano l’un l’altro…

    Si avvicinano sempre di più..

    Non guardo -io- il blu è lui che guarda me, che mi aspetta perché sa che lo cerco: senza sosta.

    Abbandonarsi ad un ricordo, un pensiero, una riflessione..

    Piccole suggestioni che fuoriescono come flussi di coscienza del tutto personali; piccoli piaceri che evocano..

    Sono tutti modi possibili per far sì che la nostre psiche “prenda aria”.

    Non esistono riflessioni giuste o sbagliate; non ci sono schemi stilistici corretti o meno.

    La nostra psiche è il luogo più importante perché è l’unico posto che potrebbe appartenerci per davvero. Luogo attraversato da una folla che vive in solitudine o da una solitudine che sente la pressante presenza della folla.

    La psiche merita il nostro rispetto.

    Ascoltati.

    Sempre.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    I risvolti Psicologici del Turismo Dark – PODCAST

    Questa tappa del nostro viaggio ci farà viaggiare in luoghi scuri e spesso pericolosi. Luoghi che raccontano storie complesse disturbanti, storie di delitti e misteri, di traumi e patologie. Luoghi dove sono avvenuti fatti di cronaca macabri umanamente difficili da accettare.
    Parleremo del fenomeno del Turismo Dark.

    Buon Ascolto..

    I risvolti Psicologici del Turismo Dark – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
    I risvolti Psicologici del Turismo Dark – In Viaggio con la Psicologia – Spotify Podcast

    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi
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    Psicologia sugli spalti: che succede?

    Ritorna l’entusiasmante collaborazione con “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”, blog a cura dell’amico Giulio Ceraldi che, ancora una volta, offre la possibilità di portare una lettura psicologica nel mondo del pallone.

    CHE SUCCEDE? CHE SUCCEDE? CHE SUCCEDERÀ?

    Stamattina, come quasi ogni giorno della mia quotidianità ero intenta ad ascoltare il caro Pino Daniele. Da diversi giorni, aleggiava nella mia mente il testo della canzone “N’ata stagione”, un’altra stagione – per intenderci – ed ecco che con un profondo sussulto… ripenso all’altra stagione; quell’altra stagione che è diventata a tutti gli effetti, quella del nostro amatissimo Napoli.

    Quello che sta accadendo nel Campionato italiano è qualcosa destinato a restare impresso nella memoria (prima di tutto) ma anche e soprattutto, nelle sensazioni, nel ricordo e nella storia della serie A.
    Siamo stati sotto il predominio di una certa (o di certe, direi) società, aziende, le si chiami come si preferisce intendere in base alla centratura che si vuole loro dare, che sono state surclassate -adesso- da un’onda, uno tsusami azzurro.

    Ma procediamo con calma e vediamo “che succere”

    Succede che il Napoli guarda tutti dall’alto e si tratta di un Napoli costrutito -finalmente- allenato alla mentalità di gruppo; un gruppo che sa pure cazzeggiare con il pallone (l’elemento di godimento che i ragazzi provano, nel palleggio, è finalmente evidente), ma che sa soprattutto non cedere e mantenere fisso l’obiettivo.

    Ora.. parlare di obiettivo è abbastanza complesso.

    La parola “obiettivo” non mi è particolarmente simpatica, persino ai miei pazienti non metto mai il vincolo della suddetta parola poichè evita l’elemento del godimento e della passione sottessa all’azione che si va a compiere. L’obiettivo, il goal, è certamente ciò che un individuo vuole raggiungere attraverso la sua prestazione, si situa come quel qualcosa da tenere sempre in mente nell’affrontare l’obiettivo finale che si vuol raggiungere. Il goal deve essere specifico (circoscrivibile e non troppo generico), deve essere misurabile (più è definibile numericamente più facilmente, ad esempio, durante una stagione sportiva riusciamo a capire se è stato raggiunto o meno), deve essere accessibile (è insomma necessario che un gruppo o atleta siano realmente capaci di poter ipoteticamente raggiungere questo obiettivo), deve essere rilevante (non troppo facile insomma, per l’atleta; il goal deve essere qualcosa di pregnante così tanto da mantenere alto l’interesse e la sfida per l’atleta) e deve essere legato al tempo (va insomma chiarita la tempistica in cui vogliamo raggiungere l’obiettivo stesso: a breve o lungo termine?).

    Quello che ho appena esposto in maniera molto concisa è il “Goal setting”, la definizione degli obiettivi che si fa di solito quando si prende in carico un atleta, una squadra, una società. E’ certamente una tecnica efficace e valida quando interagiamo con grandi società ma piuttosto fredda e meccanica.

    Mi piace parlare, invece, di percorsi. Un percorso è un viaggio del tutto personale fatto in compagnia però dei compagni di squadra o -nel caso degli atleti- dei tifosi stessi. Il percorso allora diviene un viaggio fatto di ostacoli, vittorie, sensazioni, emozioni e -soprattutto- la cosa più importante: i ricordi.

    Non sappiamo ancora bene “che succederà”… o forse sì….

    Sappiamo però che i risultati di oggi sono il risvolto di un lungo percorso iniziato non ieri, non domani ma tempo fa; un percorso che ci ha fatto incazzare (e non poco), spesso disperare.

    Stiamo facendo insieme (noi tifosi con la società tutta), un percorso non ordinario ma straordinario. Siamo affascinanti e avvincenti; siamo divertenti, giovani e belli. Siamo atleti e al contempo bambini che riescono a godere di quello che resta ancora, nonostante tutto, il gioco più bello del mondo: quello del pallone.

    Allora: che succere… che succederà?

    Questo non posso saperlo, ma al di là di ogni risultato, obiettivo o traguardo amo questo Napoli e la possibilità di potermi emozionare e vivere, sulla superficie della mia pelle e del cuore, la possibilità di vedere quella che un domani sarà -certamente- storia da raccontare.
    E allora: Forza Napoli.. Sempre!

    “Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Psicologa Clinica – appassionata di sport – Tifosa del Napoli.

    Leggi l’articolo anche su “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”.

    Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”, a cura di Giulio Ceraldi.

    E questa è cultura che condivido per chi, come al solito, ha saputo solo offendere. Anche per voi ci sarà un’altra stagione che non sarà questa.
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    Nella stanza della psicologa: l’importanza della famiglia durante la presa in carico dell’adolescente.

    Con l’approfondimento odierno intendo presentare al lettore due casi clinici da me seguiti. Ho scelto due adolescenti (un ragazzo e una ragazza) con situazioni familiari piuttosto equiparabili (mi riferisco, come a breve vedremo, all’atteggiamento della famiglia) che ben si prestano ad evidenziare la centrale importanza dell’intero sistema famiglia, quando un suo membro (il paziente designato) si fa portatore del sintomo che cela, in realtà, la disfunzionalità di tutto il sistema familiare stesso.

    Riporterò storia e dati dei due casi clinici ma sempre in accordo con le leggi che regolano il segreto professionale1. Dividerò le due storie in “Caso A” e “Caso B”, non con l’intento di meccanicizzare la realtà, ma solo per rendere più comprensibile e fruibile la lettura.

    Breve introduzione: evoluzione storico-culturale dell’adolescenza.

    L’adolescenza è la fase del ciclo di vita che risente maggiormente della componente storica e socio-culturale. Cosa vuol dire quanto appena detto? Procedendo con un piccolo excursus sia storico che tra le diverse culture è possibile notare come non è sempre possibile individuare un periodo di sviluppo assimilabile a quello che oggi intendiamo noi come adolescenza, questo perché la fase di inizio e fine è soggetta a significazioni (e ri-significazioni) molto diverse nelle varie epoche.

    Nell’antica Roma repubblicana la fine dell’adolescenza era segnata dallo sviluppo fisiologico2 . Presso i Masai il giovane, alla fine dell’adolescenza, si sottopone alla cerimonia del salto della siepe. Più le società hanno una organizzazione economica semplice, più il passaggio dal mondo infantile a quello adulto è breve e -soprattutto- sancito da riti di passaggio e/o iniziazione.

    In Europa è con l’industrializzazione e con il sistema scolastico obbligatorio (specie con la scuola superiore) che si giunge ad allungare, per così dire, la “permanenza” nella fase adolescenziale. Si è infatti allungato il tempo per l’ingresso nel mondo del lavoro e non vi sono modelli predefiniti da seguire per sancire la definitiva uscita dalla fanciullezza e l’ingresso nel mondo adulto. Il termine stesso adolescere evidenzia ab origine la condizione di “passaggio” dell’adolescenza stessa: non più un bambino ma nemmeno un adulto; un passaggio che la nostra contemporaneità fatica a gestire ma che vede sempre più farsi lungo3.

    L’adolescente vive quindi un periodo della vita particolarmente delicato, caratterizzato da indeterminatezza, sospensione e attesa in cui la famiglia gioca un ruolo fondamentale.

    Caso A: la storia di Lele.

    Lele è un ragazzino molto dolce di 15 anni. Giunge in consultazione scortato dalla madre che, preda delle sue mille preoccupazioni, non sa più cosa fare con questo figlio sempre più pigro, svogliato e apatico. Il giorno del nostro primo incontro, la madre di Lele mi porta una cartella piene delle più svariate analisi ospedaliere fatte fare al figlio per una serie di problemi che la donna non riesce più a gestire4… La mamma di Lele è un fiume in piena di parole, grandi sospiri e accenni di lacrime; mentre lei parla io continuo a guardare Lele, per comprendere le sue risposte emotive al racconto così tanto devastante, che la madre mi sta portando. Accolta la richiesta della signora, la invito gentilmente ad uscire così da poter parlare con il ragazzo.

    La risposta lì per lì, da parte della donna, è di panico totale. La signora diventa rossa in volto ha quasi un accenno di svenimento poi capisce che deve uscire.

    Lele è molto timido, ha degli enormi occhiali, un pantaloncino corto da cui emergono le lunghe gambe e il suo corpo che comincia lentamente a trasformarsi. Le mascherine coprono i volti e Lele mi dice chiaramente che se non avessimo questi dispositivi a coprirci sarebbe molto difficile, per lui, guardarmi negli occhi (in realtà, Lele è uno dei pochi ragazzi che mi ha davvero sempre guardata negli occhi; durante i nostri colloqui cominciati nel pieno della pandemia Lele spesso abbassava la mascherina e continuava a parlare senza mai abbassare lo sguardo).

    Il ragazzo è da subito disposto a cominciare il percorso psicologico; mi colpisce la sua intelligenza, il porsi domande ben oltre la sua età anagrafica, la voglia di scoprire e riscoprire la vita (il lockdown avrà una grande incidenza sulla salute psichica del ragazzo che, proprio in corrispondenza dello scoppio della pandemia, era diventato vittima di atti molto violenti da parte dei bulli). Se la mamma di Lele dopo un iniziale stato di shock sarà molto disponibile e attenta, arrivando ad allacciare una buona alleanza con me, non si potrà dire lo stesso del padre.

    Il papà di Lele è un uomo dalla scolarizzazione completamente assente (sarà la moglie ad evidenziare ripetutamente come il marito sia ignorante), completamente anaffettivo, aggressivo e non di rado violento, non farà altro che riferirsi al figlio con frasi del tipo “perché ti ho riconosciuto alla nascita?” “non sei mio figlio, finocchio del cazzo”. La continua svalutazione del padre aveva reso impossibile, in Lele, misurarsi e confrontarsi con aspetti di fragilità e emotività tanto da spingerlo verso modalità adesive (la dipendenza materna) nelle quali non c’era spazio per la tridimensionalità e una pseudoadultizzazione, rendendo vano lo sviluppo di meccanismi identificatori e l’espressione di vissuti dolorosi. Lele però non molla e continua, scortato dalla madre, a venire ai nostri incontri. Il ragazzo comincia lentamente a prendere coscienza dei suoi bisogni e delle sue emozioni; vuole conoscere una ragazza, sente pressante il bisogno di conoscere il sesso (la sessualità e sensualità); vuole ricominciare ad uscire e comincia lentamente a rompere quell’involucro di vetro che il padre ha costruito. Ci saranno sedute drammatiche, con eventi che pur potendo, mi sarebbe difficile restituire al lettore, tanto che un giorno il padre, capisce l’importanza del nostro lavoro, l’importanza del suo apporto al supporto che sto portando avanti e avviene la svolta. Lele il ragazzino che era stato dato per malato, fa vacillare le fondamenta fangose della famiglia e con uno scossone riposiziona i ruoli. Il padre capisce la sua funzione fondamentale, fratelli e sorelle non daranno più per scontato il ragazzino, la madre capisce che non può continuare ad “offrire il seno” ad un uomo in formazione.

    Lele oggi è un ragazzo sereno e sicuro. Ha una fidanzata, ha cambiato scuola ed ha molti amici che sente come parti fondamentali della sua vita. La madre ha trovato un lavoro e il padre trascorre molto tempo con i 3 figli che non appella più con aggettivi di dubbio gusto.

    Dal disagio di Lele ogni membro ha capito che era a sua volta portatore di qualche piccola ferita di cui era necessario prendersi cura.

    Le cicatrici condivise, quando esposte, fanno meno male.

    Caso B: la storia di Gaia

    Gaia è una ragazza di 17 anni giunta in consultazione portata obbligatoriamente dalla madre. Il giorno del nostro primo incontro Gaia è annoiata non tanto perché si trova dalla psicologa (a 8 anni era già stata in cura da una collega), quanto dal fatto che la madre continua ad essere pressante e invadente. Il motivo della richiesta di supporto psicologico risiede nella presunta aggressività della ragazza mista a diversi “deficit” diagnosticati con assoluta certezza dalla madre della ragazza a sua figlia5 . Entro subito in sintonia con Gaia e riferisco in maniera piuttosto veloce, alla madre della giovane, che per le diagnosi che lei propone, non mi sembra vi siano elementi idonei ma propongo ugualmente di fare dei test per avvalorare o meno la sua tesi, di procedere con la terapia e, per eliminare qualsiasi altro dubbio, di rivolgersi al reparto specifico di (…) per avere ulteriori test.

    Gaia a dispetto di quanto mi era stato riferito, ha una intelligenza notevole ed ha la capacità di fare astrazioni molto più complesse anche di tanti adulti. Certo è annoiata e svogliata; sembra non aver minimamente voglia di vivere la vita.

    Per ragioni di spazio e privacy sono costretta a compattare di molto gli eventi.

    Accade durante il nostro percorso che andrò ripetutamente a scuola di Gaia per parlare con i professori che nel frattempo, avevano iniziato una guerra con la famiglia. Dai test somministrati sia da me che dai colleghi, non emergeranno punteggi o deficit tali degni di essere legalmente riconosciuti; più che di freddi numeri personalmente mi baso principalmente sui colloqui (le diagnosi fatte con strumenti psicodiagnostici sono fondamentali soprattutto perché consentono un riconoscimento legale pertanto un accesso alla pensione di invalidità; va comunque specificato che non tutte le commissioni ragionano allo stesso modo e che spesso non basta la sola indagine psicologica ma l’argomento esula dal post odierno) e da questi Gaia appare come una ragazza in linea con i compiti di sviluppo richiesti per la sua età salvo che per una leggerissima alessitimia e una difficoltà molto leggera nell’area logico matematica (si parla di punteggi al limite della significatività).

    Ciò che emergerà dai colloqui e dal mio conoscere sempre di più il sistema familiare di Gaia è, invece, che si tratta di una famiglia caratterizzata da estremo caos; una famiglia portatrice di una intensa e subdola conflittualità dove ogni membro cerca continuamente di far fuori l’altro con un enorme disprezzo che affonda le sue radici nell’incapacità di riuscire a contenere le proiezioni dell’altro. La terapia diviene oggetto del contendere; elemento di conflitto in cui ciascun genitore a parti alterne evidenzia l’inutilità del supporto. Gaia però resiste e diventata maggiorenne torna da me. La madre di Gaia appare altamente ambivalente a tratti severa e rigida poi estremamente amichevole tanto da instaurare un rapporto tra pari con la figlia. Questa confusione genera altra confusione con Gaia che diventa improvvisamente la babysitter della madre che tradisce il marito.

    Faccio esperienza della rabbia, nel controtransfert.

    Nel momento in cui Gaia sembra imboccare la strada giusta, instaurando una relazione sana, trovando un lavoro e poche ma salde amicizie, la madre crolla.

    Ho la sensazione che ci sia una pesante ancora che vuole tirare giù, nel mare della confusione Gaia, una ragazza nella cui fragilità si incista un seme di forza e tolleranza estremo.

    La lotta per scalfire i sensi di colpa è lunga ma Gaia è una guerriera che senza l’ausilio di armi ma con la sola costanza, con qualche lacrima e un pizzico di coraggio, sta imparando a nuotare anche -e soprattutto- in apnea.

    “Finisce bene quel che comincia male”

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

    1Tutti i dati sensibili saranno opportunamente camuffati al fine di proteggere il cliente, secondo quanto espresso dagli articoli in merito al segreto professionale e alla tutela del cliente, ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi

    2Raggiunta la pubertà, durante una cerimonia religiosa il giovane deponeva la toga praetexta e la bulla (simboli dell’infanzia)e rivestiva la toga virilis.

    3Non vi è al momento una età rigida e certa che sancisce la fine dell’adolescenza ma, studi alla mano, l’età sembrerebbe aggirarsi attualmente fin ai 25 anni (post-adolescenza o famiglia lunga del giovane adulto, Scabini e Donati, 1988).

    4Lele è stato sottoposto a diversi accertamenti medici da cui però non emerge nessuna componente organica nei disturbi che racconta la madre, ecco perché la donna ha deciso di ricorrere all’aiuto dello psicologo.

    5La signora è fermamente convinta delle sue capacità nell’effettuare delle diagnosi sulla figlia. L’ambivalenza che la donna mi porta è da manuale: non c’è bisogno di uno specialista per fare una diagnosi di un certo disturbo ma al contempo pretendo che tu faccia la diagnosi a mia figlia rilasciandomi un certificato spendibile, ad esempio a scuola.

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    Anima.

    “Spesso ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare”

    Victor Hugo

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Pallone & Psiche: 50 sfumature di emozioni

    Giro di boa a cinquanta punti. Seconda a meno dodici. Impensabile, incredibile..

    Nel mezzo del cammino di questo campionato e all’alba luminosissima di un nuovo anno ci stropicciamo gli occhi increduli e proviamo imperterriti ad accomodare la vista per avere la prova visiva e oggettiva di ciò che sta accadendo.

    Il tifoso del Napoli sta vivendo questi giorni immerso in un mare magnum di emozioni crescenti, e pallide visioni di vecchi tormenti e paure, che ogni tanto tornano e vedono concretizzarsi in gelide e piovose sere di coppa.

    Ma la realtà spesso supera l’immaginazione e i più fervidi desideri.

    Eppure, se lanciamo uno sguardo alle nostre spalle, scorgiamo il ricordo dello stato d’animo del tifoso medio napoletano, nel periodo che precedeva l’inizio del campionato. Un umore altalenante e instabile.

    Si galleggiava emotivamente e cognitivamente nell’ambivalenza estrema. 

    Pallone & Psiche rubrica in collaborazione con il Blog di Giulio Ceraldi - "Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli"

    Ma probabilmente era solo “pessimismo difensivo”, un atteggiamento adattivo che al tifoso napoletano,  permetteva di premunirlo e difenderlo da una possibile, ennesima delusione imminente. Una sorta di meccanismo di “controllo”, legato  all’anticipazione dei problemi e al controllo dell’ansia.

    Forse quell’atteggiamento era il preludio ad una sorta di consapevolezza inconscia della potenzialità di un gruppo e di un progetto vincente. Allora piuttosto che inebriarsi di un pericoloso ottimismo “irrealistico” che avrebbe potuto far abbassare la guardia dinnanzi a possibili difficoltà e insidie future (già vissute, già viste) e quindi potenzialmente dannose per l’autostima, il tifoso ha deciso di far prevalere il più negativo pessimismo.  

    Oggi forse ci stiamo risvegliando da quel torpore emotivo dovuto a quell’atteggiamento “preventivo” e a quella scaramanzia insita e caratteristica di buona parte di noi tifosi napoletani, che ci ha condizionato fino alla ripresa del campionato e addirittura fino alla partita delle partite.

    Personalmente (e credo sia esperienza condivisa anche da altri), le emozioni che provo, in particolare post 5 a 1, vacillano tra incredulità, meraviglia, gioia e frenesia. E si sommano, ma crescendo pian piano, senza esondare (per il momento).

    L’entusiasmo, che in questo momento è lo stato emotivo prevalente della squadra e dei tifosi, dovrà accompagnarci per il resto della stagione, perché permette all’autostima di crescere. L’entusiasmo garantisce anche la una maggiore e più efficace consapevolezza dei propri mezzi. Insomma l’entusiasmo è veramente come un carburante potente. Ma proprio perché l’entusiasmo ha il potere di inebriare e alterare gli stati cognitivi, c’è il rischio che diventi un’arma a doppio taglio e che alteri la percezione del pericolo e che abbassi il livello di attenzione.

    Quindi meglio premunirsi con un po’ di quel pessimismo difensivo che ci ha caratterizzato nel recente passato; accogliamo l’ansia di ogni partita, anche quelle apparentemente più semplici, e utilizziamo il nostro entusiasmo bene, magari per riempire quei momenti di insicurezze e paure che ci accompagneranno fino alla fine di questo splendido viaggio.

    Il calcio è una cosa seria! Il Napoli è una cosa seria!”

    Leggi l’articolo anche su “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”.

    Dott. Gennaro Rinaldi – Psicoterapeuta e tifoso del Napoli

     

    Pallone&Psiche, rubrica a cura dei Dott.ri Giusy Di Maio e Gennaro Rinaldi (ilpensierononlineare | Riflessioni e sguardi non lineari sulla Psicologia) in collaborazione con “Il Ciuccio sulla Maglia del Napoli”, a cura di Giulio Ceraldi.

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    Il caso di Anna O: studi sull’isteria

    Anna O., è certamente l’isterica più famosa al mondo…

    Queste parole, tuttavia, non rendono giustizia a  Bertha Pappenheim (vero nome della ragazza), la ventunenne a cui la psicoanalisi deve molto.

    Conosciamo insieme qualcosa sulla vita della ragazza che “ad una certa ora della giornata, al tramonto, si rasserenava e andando in uno stato di sopore, trovava -attraverso l’uso della parola- ordine e senso ai suoi bizzarri sintomi”.

    Guardiamo il tramonto insieme ad Anna, colei che capì l’importanza della “talking cure”.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Sono distratto! Psicologia del comportamento. PODCAST

    Ti è mai capitato di far cadere un oggetto mentre dovevi tenerlo stretto saldamente tra le mani?
    Oppure di dimenticare di dire/fare qualcosa (anche e soprattutto di molto importante?)

    Ti capita di essere perennemente sbadato oppure che lo sia il tuo partner o la tua amica, tua madre e così via?

    Il viaggio di oggi ci porta tra le stanze della psicologia del comportamento: scopriamo insieme la distrazione più tre spunti di riflessione per conoscere e conoscerci.

    Attenzione! e Buon viaggio

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Violenza.

    “Chi dice -non ce la faccio- può anche morire sul lettino”

    Grande citazione di una certa ostetrica detta ad un donna nel bel mezzo del parto.

    Tra solitudine.

    Dolore.

    Paura.

    Vergogna.

    Disagio.

    Ricoverata tra battute schifose fatte dal personale sanitario.

    Offesa e denigrata per il suo corpo.

    Per il suo dolore.

    Ne parlerò -poi- di violenza ostetrica.

    Non oggi.

    Lo stesso governo che pretende che le donne partoriscano a tutti i costi, si preoccupi di metterci in sicurezza fisicamente e psicologicamente.

    Non siamo carne da macello.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    “Sei isterica!” Le origini dell’isteria

    L’approfondimento odierno ci porta tra le stanze della storia della psicologia e della psicoanalisi.

    “Sei troppo uterina!”

    Che cos’è -e quando nasce- l’isteria?

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Il valore del pensiero narrativo e l’importanza emozionale dei libri – PODCAST

    In questa tappa del nostro viaggio ci soffermeremo su un aspetto della nostra vita psichica, legata allo sviluppo cognitivo, alla memoria, all’uso del pensiero narrativo e al legame che tutto ciò ha con la cultura d’appartenenza.

    Concluderemo poi la tappa di oggi facendo una riflessione sull’importanza dei libri e sul legame sensoriale, narrativo ed emotivo che evocano; quindi sull’importanza di non perdere, nonostante il progresso tecnologico, l’abitudine al loro utilizzo, magari integrandolo semplicemente alle nuove abitudini tecnologiche più in voga.

    Buon Ascolto!

    Il valore del pensiero narrativo e l’importanza emozionale dei libri – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

    l valore del pensiero narrativo e l’importanza emozionale dei libri – In Viaggio con la psicologia – Spotify

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    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi
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    Omicidio o benessere sociale e psicologico?

    Ripropongo un post di giugno avendo da poco letto la “nuova” proposta di legge del governo italiano.
    Dopo FI e Lega, anche FDI presenta una legge sull’embrione attaccando la legge 194 ma -soprattutto- le DONNE.
    Sicuri di dover guardare molto lontano quando anche  i nostri diritti  sono sminuzzati e trattati come rifiuti?

    LA DONNA NON E’ UN CORPO AD USO E ABUSO.

    ilpensierononlineare

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    I recenti eventi di cronaca -quelli che guardando all’apparenza lontano dal bel paese- mi portano in qualità di esperta di salute e benessere psicologico a compiere una riflessione/approfondimento.

    La fredda sigla IGV, indica il percorso di Interruzione Volontaria di Gravidanza; attualmente una donna può, in Italia, tecnicamente chiedere di accedere a questo servizio entro i primi 90 giorni (12 settimane)della gestazione per motivi che siano di salute, economici, sociali o familiari.

    Dal 1978 questo intervento è regolamentato dalla legge 194/78. All’interno della legge troviamo esplicati i diversi punti, quali ad esempio

    • la possibilità di esaminare le possibili soluzioni ai problemi proposti
    • offrire un possibile aiuto che porti alla rimozione delle cause che stanno portando alla scelta di interrompere la gravidanza
    • certificazione
    • invito a soprassedere per una settimana, in assenza di urgenza, sia entro che oltre i 90 giorni. In sostanza viene offerta alla donna una…

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    Il mediatore

    Photo by Matt Jerome Connor on Pexels.com

    Con all’approfondimento odierno presenterò al lettore la figura del mediatore. Muoviamo -ancora una volta- intorno all’ambito penale minorile (anche se la figura del mediatore può essere d’aiuto oltre all’ambito che a breve conosceremo, anche in quello scolastico e familiare).

    Presenterò -pertanto- le strategie possibili per quanto concerne l’intervento delle istituzioni e la presa in carico nei servizi territoriali quando lavoriamo con minori autori e vittima di reato.

    Cosa di intende per mediazione?

    La mediazione penale minorile assume, oggi, un ruolo fondamentale questo secondo quanto sancito dai nuovi Principi di Legge che prevedono l’obbligatorietà dell’azione mediata in tutte le sue possibili accezioni*.

    La mediazione può pertanto venirsi a trovare nei diversi contesti di vita: scolastico, familiare, penale, sanitario e sociale.

    Il mediatore.

    Compito del mediatore è favorire la comunicazione tra due o più soggetti che sono tra loro in conflitto: l’autore e la vittima del reato. Si tratta di un lavoro di promozione (in sinergia con altri professionisti) di progetti rieducativi finalizzati alla riabilitazione del reo in carcere nell’ottica e nell’esigenza di un suo efficace reinserimento sociale, come da principio guida del processo penale minorile italiano.

    Il mediatore penale minorile applica le proprie competenze rispondendo a due fondamentali esigenze di Giustizia:

    1) offrire attenzione ai protagonisti della vicenda penale: alla vittima (alla quale viene conferito un ruolo più attivo di quanto accade nel procedimento penale), e al reo (ponendo in essere la concreta opportunità di accedere a modalità riparative responsabilizzanti).

    2) riguarda invece l’attenzione specifica nei confronti del minore reo una volta all’interno del contesto penitenziario, promuovendo progetti ed attività di intervento a scopo rieducativo e riabilitativo.

    I mediatori mirano pertanto alla risoluzione del conflitto (da intendere in maniera ampia ovvero come un confronto tra due parti che può o meno sfociare in conflitto aperto o essere latente) attraverso l’intervento di un professionista neutrale e imparziale che miri a rendere più agevole l’incontro tra le parti portando ad una soluzione pacifica.

    Mediazione penale.

    Lo scopo della mediazione penale è quello di proporre un modello di risoluzione dei conflitti alternativo rispetto al tradizionale processo giudiziario, mediante la realizzazione di interventi che mirano più alla ricomposizione delle relazioni che alla ricerca della verità giudiziaria. Si caratterizza per il carattere confidenziale della discussione e per la neutralità dei luoghi in cui si svolge. Incontrare la vittima è considerato utile sotto il profilo educativo ma anche di cruciale importanza per iniziare un reale processo di reinserimento sociale. La presa di contatto (materiale e non simbolica) con la vittima e la ricerca comune di una risoluzione pacifica del conflitto sono elementi importanti.

    Rendere il minore reo protagonista, insieme alla vittima, del futuro dei loro reciproci rapporti consente ad entrambi una conoscenza dinamica della rispettiva personalità col risultato di ottenere un effetto auto-responsabilizzante. Inoltre, in ambito minorile, gli effetti positivi della mediazione penale si combinano ulteriormente con l’ opportunità di evitare al minore i tradizionali traumi e stress causati dal normale esplicarsi del procedimento penale.

    Chi sono i soggetti della mediazione?

    Sono tre: il reo, la vittima e il mediatore ma per attivare il processo è d’uopo che vi siano almeno tre condizioni ovvero il consenso informato e volontario del minorenne autore di reato; il consenso informato e volontario della vittima; l’ammissione di responsabilità da parte del minore autore del reato (che non è una cosa così scontata da avere).

    Promotore dell’iniziativa e responsabile della valutazione di fattibilità è il Centro o Servizio che, in seguito, ne dà comunicazione al magistrato competente (Servizi sociali).

    Durante il percorso di mediazione penale, il processo penale è sospeso. Al termine della mediazione, viene redatta una relazione sui risultati del percorso che viene inviata all’autorità giudiziaria. In caso di esito positivo, il procedimento penale può concludersi immediatamente.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

    *Il DPR 448/88 che disciplina il sistema processuale penale minorile prevede la realizzazione dell’attività di mediazione, vista la piena rispondenza di questo strumento alle finalità proprie della giustizia minorile. In particolare, gli art. 9, 28 del D.P.R. 448/88 sono considerati gli spazi normativi per eccellenza per l’introduzione delle pratiche di mediazione

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    L’inconscio va in scena: l’uso delle marionette in terapia

    Racconti terrorizzanti, angoscianti, spaventosi.

    Racconti eccentrici, avvincenti, pericolosi…

    L’approfondimento di oggi ci porta ad indagare un campo di indagine affascinante e complesso. Nel corso di un supporto psicologico può accadere che il bambino, l’adolescente o il giovane adulto, possa vivere una difficoltà nel verbalizzare un certo tipo di contenuti. In questo caso è possibile utilizzare degli strumenti che aiutino la persona ad elicitare, a cacciar fuori, il contenuto inconscio terrorizzante, spaventante, a cui non si riesce a dare un nome.

    Scopriamo l’uso delle marionette in terapia.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Radici familiari della violenza.

    L’approfondimento che propongo oggi al lettore è una riflessione piuttosto piccola e centrata.

    Il focus della mia proposta concerne l’evidenziare come l’adolescente violento, quello che la “normalità” * tende ad indicare come cattivo ha -in qualche modo- imparato la violenza.

    Risulta importante sottolineare che nella fase adolescenziale va fatta una distinzione tra aggressività e violenza e tra violenza come forma di comunicazione e la violenza agita per espellere e disfarsi della capacità elaborativa.

    La prima è un agito con caratteristiche protosimboliche (come spesso avviene in questa specifica fase di vita) , la seconda -invece- ha delle caratteristiche di crudeltà e/o di sadismo in cui il piacere (il più delle volte erotizzato), è legato al bisogno di potere sull’altro nonché al bisogno di provocare sofferenza.

    A causa della natura fisiologicamente traumatica** dei processi evolutivi, l’adolescente può vivere un “doppio trauma” se entra in collusione con funzionamenti traumatici pregressi che possono aver caratterizzato il funzionamento familiare.

    Pertanto l’adolescente tenta di sbarazzarsene, perché impossibilitato nell’elaborazione, attraverso la proiezione di queste parti di Sé ripudiate e repellenti. Questo processo gli permette un temporaneo sollievo, può funzionare come argine di un possibile breakdown ma soprattutto può innescare l’organizzazione di una personalità negativa perché costruita sull’onnipotenza, sulla negazione della dipendenza e sull’illusione di una totale autosufficienza.

    Qual è il funzionamento familiare delle famiglie che contribuiscono alla genesi del comportamento violento?

    Le caratteristiche principali di queste famiglie sono: l’acting out, la concretizzazione, l’incapacità di concepire il tempo, la difficoltà a contenere le tensioni, a tollerare le frustrazioni, a contenere gli impulsi ma, soprattutto, a pensare e ad accedere ad una capacità simbolica (Nicolò, 2009)

    *chi scrive usa il termine con fare quasi provocatorio. Ci si sente spesso normali e giusti nella propria posizione ma basta davvero poco a sovvertire l’ordine costituito del tutto.

    **questo è un altro punto che merita la nostra attenzione. Proprio in virtù della “normalità” cui accennavo sopra, dimentichiamo con troppa facilità la natura intrinsecamente traumatica di alcuni processi evolutivi. Non di rado mi capita di ascoltare genitori, insegnanti, adulti in generale che sottolineano come “ai miei tempi… io all’epoca.. io non ero.. io non ho…”. L’adolescenza è una fase delicatissima del ciclo di vita, complessa e traumatica per tanti vissuti simbolici (e una possibile frattura identitaria sottesa), da considerare tutte le volte che ci si approccia a un giovane. Anche gli adulti tutto “Io” hanno molto probabilmente avuto una qualche piccola lacerazione, da qualche parte. Che non lo vogliano ammettere è un’altra cosa.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    Gli stadi del sonno: Podcast.

    Il viaggio di oggi sarà un viaggio rilassante che ci porterà, direttamente, tra le stanze del sonno.
    E’ la psicologia fisiologica ad occuparsi, nello specifico, del sonno e delle sue innumerevoli straordinarie implicazioni, per l’essere umano.
    Buon viaggio e buon ascolto.

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

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    La Fiducia e gli effetti positivi sulla Psiche

    “Puoi rimanere deluso se ti fidi troppo, ma vivrai nel tormento se non ti fidi abbastanza”.

      Frank Crane

    Oggi parleremo di fiducia. Della sua influenza sulla nostra condizione psichica personale e di quella sulla vita relazionale.

    Inoltre ci faremo aiutare da due teorici importanti per comprenderne le origini.

    Buona visione!

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    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi
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    Dal Ser.T al Ser.D: Servizi per le Dipendenze.

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    Il Ser.T (Servizio per le Tossicodipendenze) è un servizio pubblico del Sistema Sanitario Nazionale dedicato alla prevenzione, riabilitazione e cura delle persone che hanno problemi di dipendenza da sostanze psicoattive (droghe o alcool, ad esempio).

    Attualmente si parla di Ser.D andando, con ciò, ad indicare i Servizi per le Dipendenze. I Ser.D ricomprendono funzioni e organizzazione dei vecchi Ser.T ma -ed è qui la grande novità- estendono il loro intervento anche alle dipendenze comportamentali e alle sostanze da abuso legali (pensiamo a tal proposito alle dipendenze da videogiochi, dipendenza dal pc, gioco d’azzardo oppure alla dipendenza da antidepressivi o antinfiammatori).

    I Ser.D dipendono dalla Regione e sono attivi all’interno dell’Asl (in ogni Distretto Sanitario). All’interno della struttura operano diversi operatori, tutti specializzati nel trattamento e nella presa in carico della persona con una dipendenza (medici, infermieri professionali, educatori professionali, sociologi, assistenti sociali e psicologi).

    Il Ser.D offre servizi gratuiti e garantisce, in accordo con la legge e la deontologia, l’anonimato (deve essere sempre garantito l’anonimato e il rispetto per la privacy -segreto professionale- con la possibilità di applicare l’anonimato sui dati anagrafici così come disposto dalla legge 309/90 art.120). I servizi del Ser.D hanno l’obiettivo di fornire il sostegno e l’orientamento ai tossicodipendenti e alle proprie famiglie dal punto di vista medico-infermieristico anche grazie alle campagne di informazione e di prevenzione.

    Che cosa fa il Ser.D?

    Le strutture accertano lo stato di salute psicofisica del soggetto arrivando alla definizione di programmi terapeutici individuali che possono essere effettuati o nel Ser.D stesso o in altre strutture convenzionate come i centri di recupero. E’ fondamentale il monitoraggio continuo del soggetto: per questo vengono effettuati molto spesso esami del sangue, delle urine e dei capelli.

    I Ser.D operano nel rispetto dei criteri fissati dai livelli essenziali di assistenza (LEA) assicurando la disponibilità dei principali trattamenti relativi alla cura e riabilitazione dall’uso di sostanze, garantendo, compatibilmente con le risorse economiche a loro disposizione, la libertà di scelta del cittadino e della sua famiglia ad attuare i programmi terapeutico-riabilitativi presso qualunque struttura autorizzata in tutto il territorio nazionale. I Ser.D, in accordo con il paziente e con il proprio nucleo familiare, anche mediante l’utilizzo di altri servizi specialistici, pubblici e privati accreditati o autorizzati, si occupano della prevenzione e della cura di tutte le patologie correlate alla dipendenza da sostanze.

    Nel Ser.D quindi ci si occupa di:

    1. garantire accoglienza, diagnosi e presa in carico del paziente.
    2. predisporre, per ogni singolo utente, un programma terapeutico.
    3. effettuare terapie farmacologiche specifiche, sostitutive, sintomatiche e antagonistiche, compreso il monitoraggio clinico e laboratoristico, verificando l’opportunità di tali interventi e mantenendo contemporaneamente l’obiettivo del superamento dello stato di dipendenza anche dai farmaci sostitutivi.

    I SerT (ora Ser.D) sono costituiti secondo i criteri della Legge 26 giugno 1990, n. 162, e dei decreti del Ministro della Sanita’ del 12 luglio 1990, n. 186, 30 novembre 1990, n. 444, 19 dicembre 1990, n. 445, 23 dicembre 1990, n. 448, e del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 9 ottobre 1990.

    “Finisce bene quel che comincia male”

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Psicologa Clinica, matr. 9767

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    Cosa ci spinge a viaggiare? – PODCAST

    “Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.”

    Ryszard Kapuscinski

    All’alba di un nuovo anno, siamo come sempre preda di un’alternanza di emozioni e sentimenti contrastanti. Siamo: pensierosi, speranzosi, preoccupati, malinconici, felici, tristi, ansiosi, curiosi..

    Alcuni proveranno un’irrefrenabile voglia di proiettarsi in avanti e agire; altri saranno per lo più legati al pensiero del tempo che passa, come un treno che viaggia sempre in avanti.

    Credo che tutti debbano sentirsi viaggiatori/esploratori nella propria vita, perché viaggiare in qualche modo rende più liberi, più leggeri e mentalmente più accoglienti e meno rigidi.

    COSA CI SPINGE A VIAGGIARE?

    In questa tappa del nostro viaggio andremo lontano, in qualunque luogo, lontani dagli eccessi del quotidiano, dalla frenesia del lavoro e del traffico.

    Un luogo altro, un posto del cuore.. viaggiare rende in qualche modo liberi e felici.

    Sarà quindi una tappa particolare, perché approfondiremo un po’ la conoscenza di noi stessi, viaggiatori appassionati e curiosi.

    Buon ascolto e buon viaggio!

    Psicologia del Viaggiatore – In viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

    “Colui che vuole viaggiare felice deve viaggiare leggero”

    Antoine de Saint-Exupery
    Psicologia del Viaggiatore – In viaggio con la Psicologia – Spotify Podcast

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    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi
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    Paure e Bambini – PODCAST

    Questa tappa del nostro viaggio sarà faticosa e forse un po’ scomoda, ma ci permetterà di osservare da vicino aspetti molto importanti della vita emotiva dei bambini e dei ragazzi preadolescenti alle prese, negli ultimi tempi, a quanto pare, con una delle emozioni più difficili da affrontare: la paura.
    E più nel particolare la paura della morte.


    Perché ci sono alcuni bambini che hanno paura di morire?

    Buon Ascolto..

    La paura di morire nei bambini – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast
    La paura di morire nei bambini – In Viaggio con la Psicologia – Spotify Podcast

    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi
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    Il paziente cattivo VS la dottoressa cattiva.

    Quanto segue è il resoconto -per ovvie ragioni opportunamente camuffato*- del supporto psicologico portato avanti con un paziente di circa 40 anni.

    Davide chiede un incontro con la psicologa, allertando il centro in cui lavoro. La richiesta dell’uomo è spiazzante per le volontarie poiché l’uomo è conosciuto per tutt’altri motivi. L’enfasi con cui la richiesta è -dal personale- accolta, desta in me profonda inquietudine tanto da aggiungere un’ora extra al mio solito orario.

    Davide giunge in consultazione presentandosi con largo anticipo. E’ vestito molto alla moda e si presenta molto più giovane rispetto alla sua età. Si muove nello spazio ondeggiando in maniera fluida e appena si accomoda sulla sedia, getta via il pesante (e costoso) giubbino.

    Il motivo per cui Davide ha chiesto un appuntamento “il prima possibile” è dovuto al fatto che ha avuto, recentemente, seri problemi lavorativi e personali.

    La storia che l’uomo mi racconta è costellata da eventi traumatici e abusanti; ripetutamente vittima di bullismo (tanto da esser più volte ricorso alle forze dell’ordine portando in tribunale i suoi aguzzini), Davide sembra esser nato vittima.

    C’è qualcosa di strano nei racconti dell’uomo; lo sguardo e la posa del corpo con cui mi parla della sua tormentata vita mi restituiscono un controtransfert che mi porta a non colludere troppo con il racconto.

    In sostanza accade che Davide non fa che raccontare a tutti (per esempio mentre aspetta il suo turno) la sua tormentata vita; tutti (in particolar modo le donne) piangono insieme a lui, gli offrono frasi di sostegno piuttosto scontate ma costanti.

    Davide trova improvvisamente decine di dottoresse di fortuna pronte a contenere i suoi pianti.

    Noto che nel momento in cui l’uomo racconta a tutti della sua tremenda vita, ha come un ghigno sul viso. Davide diventa quasi come Joker con quel sorriso maligno accerchiato da persone che non sanno più come scusarsi per tutta la sofferenza che gli altri gli hanno causato.

    I nostri incontri proseguono e l’uomo arriva sempre in orario senza mai mancare; i giorni diventano settimane e Davide racconta. Utilizzo alcuni strumenti psicodiagnostici, i reattivi grafici proiettivi possibili e altri strumenti…

    Emergerà con sempre maggior forza che Davide è crudele.

    Il suo passato da vittima lo ha trasformato in un “bullo” in piena regola.

    Alcuni episodi circa il suo comportamento, che saranno raccontati, sono risultati -a chi scrive- piuttosto difficili da accogliere ma il nostro percorso è continuato.

    I narcisisti maligni sono bugiardi, ipocriti e manipolatori affettivi. Hanno un’alta considerazione di loro stessi, esagerano le proprie capacità, appaiono spesso presuntuosi, credono di essere speciali, superiori, di dover essere soddisfatti in ogni loro bisogno e pretendono di avere diritto ad un trattamento particolare. Ma questo non basta (altrimenti avremmo a che fare con un “normale” narcisista). Il tutto risulta supportato dal comportamento maligno che porta tale soggetto ad avere anche tratti borderline, antisociali e paranoici.

    I manipolatori perversi hanno come obiettivo quello di agire attraverso la manipolazione e il raggiro per far compiere al proprio interlocutore delle azioni che tornano ad esclusivo vantaggio personale, si approfittano dell’amore altrui a scopo egoistico. 

    Davide ha trovato innanzi una persona (per di più donna) che per la prima volta non ha ceduto al suo (presunto) fascino né ha creduto che il mondo ce l’avesse con lui.

    L’uomo è stato ovviamente aggressivo, in certi momenti, cattivo. La vittima spaesata e sola è diventata un bullo crudele travestito da piccolo uomo che non è mai potuto essere (a detta sua), bambino, adolescente e -ora- uomo al 100% perché tutti ce l’hanno con lui.

    Il percorso difficile e complesso è possibile a patto che si accetti, che il terapeuta (almeno in questo caso) non è una pedina manipolabile.

    “La dottoressa è cattiva!”

    Forse..

    Deontologicamente corretta.

    “Finisce bene quel che comincia male”

    Dott.ssa Giusy Di Maio

    *Tutti i dati sensibili saranno opportunamente camuffati al fine di proteggere il cliente, secondo quanto espresso dagli articoli in merito al segreto professionale e alla tutela del cliente, ART.4,9,11,17,28, Codice Deontologico degli Psicologi

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    Il pregiudizio

    Che cos’è il pregiudizio?

    Sei davvero sicuro di essere una persona senza pregiudizi? E se ti dicessi che anche un atteggiamento condiscendente può essere mosso da pregiudizio, ci crederesti?

    “Finisce bene quel che comincia male”

    Dott.ssa Giusy Di Maio

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    I servizi della giustizia minorile.

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    L’approfondimento che propongo oggi al lettore concerne un difficile campo di analisi; la difficoltà non è solo in chi si trova ad operare nello specifico settore (la giustizia minorile), quanto soprattutto in chi da “osservatore esterno”, si trova a dover analizzare il difficile ambito caratterizzato dai minori che per un dato motivo si trovano ad incontrare e ad entrare nel circuito della giustizia.

    Esporrò di seguito le realtà e le proposte di intervento che si sono rese possibili in conseguenza al cambiamento del quadro normativo avviato dal nuovo codice di procedura penale per i minorenni. Questo processo di cambiamento ha comportato una ridefinizione dell’assetto organizzativo e gestionale dei servizi dell’amministrazione della giustizia minorile.

    Il sistema dei servizi della giustizia minorile rappresenta, infatti, l’area di supporto all’implementazione delle linee, delle strategie politiche e, più specificatamente, delle decisioni prese dall’Autorità giudiziaria nell’ambito della competenza penale. Ai preesistenti servizi (come l’Ufficio di servizio sociale e l’Istituto penale) si affiancano nuovi servizi, come il Centro di prima accoglienza, la Comunità educativa, i Centri diurni polifunzionali, titolari della nuova filosofia dell’azione penale e di tutte le misure penali in area esterna, che rappresentano l’attuale tendenza di politica preventiva in Italia (Mastropasqua, Scaratti, 1998).

    Che cos’è e che funzione svolge l’Ufficio di servizio sociale?

    L’Ufficio di servizio sociale costituisce il servizio che accompagna il ragazzo nel suo percorso penale (dall’inizio alla fine). Opera sulla base di un mandato istituzionale che ne prevede l’immediata attivazione dal momento in cui, a seguito di denuncia, un minore entra nel circuito penale. Il nuovo codice prescrive l’attivazione del suo intervento nei confronti del minore entro 96 ore dall’inizio del suo stato d’arresto e di fermo. L’Ufficio cura -inoltre- il progetto educativo del minore in misura cautelare non detentiva, gestisce la misura della sospensione del processo e della messa alla prova e segue complessivamente tutte le misure alternative e sostitutive. Svolge altresì compiti di assistenza in ogni stato e grado del procedimento e predispone la raccolta di informazioni utili per l’accertamento della personalità del minore su richiesta del P.M.

    E l’Istituto Penale?

    L’Istituto penale (spazio originariamente preposto all’esecuzione della misura cautelare detentiva e della pena), vede una sua ridefinizione organizzativa più funzionale ad un’azione educativa sempre più integrata con i servizi della giustizia minorile e del territorio.

    Centro di prima accoglienza, Comunità educativa, Centri diurni polifunzionali.

    Centro di prima accoglienza: (CPA) è una struttura filtro che ospita i minori arrestati e fermati (per un massimo di 96 ore) in attesa dell’udienza di convalida. Si tratta di un servizio finalizzato ad evitare l’impatto con il carcere e che si connota strutturalmente come una casa dove gli operatori minorili accolgono, informano, sostengono il minore e avviano una prima prefigurazione del progetto educativo, se il minore resterà nell’area penale.

    Le altre nuove tipologie organizzative, comunità e centri diurni polifunzionali, rappresentano servizi di supporto all’intervento in area penale esterna e vedono attualmente prevalere la formula del convenzionamento o della cogestione con le forze del privato sociale.

    Centro polifunzionale di servizi: indica una struttura situata nei territori di competenza dei diversi centri per la giustizia minorile. Tale centro si compone di diversi servizi: Servizio di prima accoglienza, Servizio sociale, Servizio diurno polifunzionale, Servizio comunità, Servizio controllo rafforzato. Appare ipotizzabile, per il prossimo futuro, che i primi due servizi evolveranno coerentemente con gli sviluppi dell’innovazione in corso. Il servizio diurno rappresenta, invece, l’espressione più immediata dell’obiettivo di garantire continuità con l’esterno. Tale struttura, infatti, non è riservata esclusivamente agli autori del reato, ma si rivolge ad un’utenza mista che accede alle attività proposte tramite invio del territorio (scuole, parrocchie, servizi sociali territoriali ecc.). Gli ultimi due servizi, costituiscono quelli più direttamente organizzati in forma istituzionale secondo modalità contenitive, diversamente articolate sulla base delle caratteristiche del ragazzo, della sua posizione giudiziaria o problematicità presentate.

    Il servizio di controllo rafforzato sostituisce l’Istituto penale ma, sostanzialmente, ne ripropone la logica per tutti quei casi che non possono accedere ad ipotesi meno strutturate.

    I servizi comunità si differenziano, al loro interno, fra comunità filtro, con funzioni di accoglienza, inserimenti comunitari a medio e lungo termine e comunità protette, rivolte a quei ragazzi per i quali risulta inadeguato o prematuro il collocamento presso strutture territoriali.

    La nuova articolazione dei servizi e la complessità della proposta organizzativa (sempre più orientate ad un’apertura al territorio di appartenenza del minore a rischio e/o che delinque) richiede la valorizzazione della multidisciplinarietà e la specializzazione delle figure che si occupano del ragazzo, l’interazione con i servizi e le professionalità del territorio, ma soprattutto la fluidità sia di circolazione interno-esterno, sia di passaggio del minore fra strutture e servizi.

    Si fa presto a dire “delinquenti” ma non è mai tardi per attivare una rete di prevenzione e supporto sociale dove, tramite un lavoro d’equipe multidisciplinare: si fa.

    Questi sono i nostri ragazzi: figli, amici, fratelli, sorelle -piccole madri e padri talvolta- che meritano di essere accolti, contenuti e reindirizzati.

    Anche quando entrano, per qualsiasi motivo, nel circuito penale.

    Qualcuno da qualche parte ha fallito, cerchiamo di non fallire -ancora- noi.

    “Finisce bene quel che comincia male”.

    Dott.ssa Giusy Di Maio

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    Obiettivi

    “L’acqua di un fiume si adatta al cammino possibile, senza dimenticare il proprio obiettivo: il mare”

    Paolo Coelho

    La nostra vita spesso ha un carattere frenetico e nella frenesia del quotidiano, sommersi dalle innumerevoli richieste della società, e delle nostre famiglie ci affanniamo per raggiungere obiettivi, spesso lontani e apparentemente irraggiungibili.

    Ma una volta raggiunti scopriamo che la felicità, la soddisfazione e la gioia attesa, per il raggiungimento dell’obiettivo, è fugace e insoddisfacente.

    Quando focalizziamo tutte le nostre aspettative e le nostre risorse solo ed esclusivamente sul successo, siamo destinati quasi certamente a fallire.

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    Bisogna confrontarsi sempre con i propri limiti e con le proprie reali aspettative (quelle nostre personali), non con quelle che ci vengono imposte direttamente o indirettamente dagli altri.

    L’importante è riconoscere le proprie priorità e le proprie reali esigenze, per poi percorrere la strada più congeniale verso i nostri obiettivi, quelli che più desideriamo.

    Il tempo, la fatica, il piacere della conquista, il brivido dell’imprevisto e la rassicurante risoluzione dei nodi, darà valore e soddisfazione agli obiettivi e ai successi raggiunti.

    “Finisce bene quel che comincia male”

    dott. Gennaro Rinaldi
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    Omicidio o benessere sociale e psicologico?

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    I recenti eventi di cronaca -quelli che guardando all’apparenza lontano dal bel paese- mi portano in qualità di esperta di salute e benessere psicologico a compiere una riflessione/approfondimento.

    La fredda sigla IGV, indica il percorso di Interruzione Volontaria di Gravidanza; attualmente una donna può, in Italia, tecnicamente chiedere di accedere a questo servizio entro i primi 90 giorni (12 settimane)della gestazione per motivi che siano di salute, economici, sociali o familiari.

    Dal 1978 questo intervento è regolamentato dalla legge 194/78. All’interno della legge troviamo esplicati i diversi punti, quali ad esempio

    • la possibilità di esaminare le possibili soluzioni ai problemi proposti
    • offrire un possibile aiuto che porti alla rimozione delle cause che stanno portando alla scelta di interrompere la gravidanza
    • certificazione
    • invito a soprassedere per una settimana, in assenza di urgenza, sia entro che oltre i 90 giorni. In sostanza viene offerta alla donna una settimana di ulteriore sofferenza, nel caso abbia un ripensamento. Nel corso di questa settimana non di rado accade che la donna in questione diventi vittima di un atteggiamento da parte dei sanitari volti a colpevolizzare la donna stessa, a farla sentire un mostro.

    Qual è l’obiettivo della legge?

    L’obiettivo che la legge si prefigge è tutelare la maternità, la salute e il benessere psico fisico della donna (e ad ampio spettro della comunità tutta), attraverso la rete dei consultori familiari, al fine di prevenire “reti parallele” di aborti non sicuri: aborti clandestini.

    Vi sono due tecniche attraverso cui è possibile ottenere l’interruzione della gravidanza:

    • metodo farmacologico
    • metodo chirurgico

    (Non andrò nel dettaglio medico della cosa).

    Per accedere all’aborto farmacologico è necessario recarsi presso un consultorio familiare, medico di famiglia, ginecologo privato o struttura che effettua l’IGV.

    Cosa fa il consultorio familiare?

    (La grande fortuna dell’assistenza primaria*, in Italia).

    I consultori familiari (come da legge 405 del 1975) offrono un tipo di prevenzione che rientra nella “prevenzione primaria”, finalizzata alla prevenzione e il benessere psicologico, sociale e fisico della donna, dell’infanzia e della famiglia; ci si occupa, in sostanza, dei minori, della donna, della coppia (genitorialità) e della famiglia.

    L’accesso all’UOMI (Unità Operativa Materno Infantile) è gratuita; non c’è bisogno di pagamento ti ticket e si accede tramite appuntamento preso, spesso, contattando direttamente il professionista richiesto.

    Una donna che giunge in consultazione con lo psicoterapeuta della struttura in cui avverrà L’IGV è una donna sola; per quanto questa donna sia inserita in una rete sociale di supporto (ad esempio familiare), vivrà sempre la scelta di procedere con l’IGV come una scelta vissuta nel dolore personale.

    Una donna che decide di procedere con L’IGV soffre ma soffrirà ancora di più, portando avanti una gravidanza.

    Nella stragrande maggioranza dei casi, stiamo evitando che nasca un bambino (qualora siano state escluse problematiche fisiche nell’embrione) con problematiche psichiatriche/psicologiche notevoli. Un bambino non riconosciuto dalla madre potrebbe portare la donna costretta a portare avanti la gravidanza a sviluppare: psicosi puerperale, depressione, allucinazioni, psicosi, schizofrenia, disturbi del comportamento alimentare, deliri; la donna potrebbe sentire che il feto ospitato sia un alieno non di rado donne si sono aperte la pancia, con strumenti di fortuna perché sotto la spinta di deliri e allucinazioni avevano l’urgenza di rimuovere da sé l’indesiderato ospite.

    Se la gravidanza procede tutto sommato bene, la donna può decidere di dare in adozione il bambino.

    Pensate che la vita di un bambino istituzionalizzato, sia migliore?

    Il bambino meglio cresciuto dalla famiglia adottiva, andrà incontro per forza di cose, a problemi psicologici serissimi nel corso della sua vita; per non parlare del fatto che se esposto a problemi di salute, non potrà (o difficilmente potrà), ritrovare i propri genitori biologici per un aiuto concreto.

    A tal proposito penso alla piccola Elena del Pozzo uccisa poche settimane fa, a soli 4 anni, dalla sua giovanissima madre; oppure al giovane adottato che pochissime settimane fa ha ucciso la madre a coltellate.

    L’elenco sarebbe fin troppo lungo.

    Mi chiedo allora quando smetteremo di guardare alla maternità come un qualcosa di sacro e inviolabile; quando smetteremo di guardare alle donne come esseri atti alla riproduzione per il solo fatto di avere degli organi deputati al concepimento.

    La gravidanza va ben oltre il semplice atto fisiologico della cosa e la religione o la politica ha ben poco a che vedere con la mostruosità che, il più delle volte, un pancione può assumere.

    I governi si dimenticano, troppo facilmente, che il vivere sociale implica dei doveri, certo, ma implica anche -e soprattutto- dei diritti.

    Diritti sempre più cancellati, spazzati via, resi traslucidi da specchietti per le allodole che portano altrove.

    Allora…

    E’ omicidio oppure è un mio diritto poter decidere della mia salute psicofisica?

    Dott.ssa Giusy Di Maio, Ordine Degli Psicologi della Regione Campania, matr. 9767

    *si intende ogni attività focalizzata sull’adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l’insorgenza e lo sviluppo di una malattia, selezionando e trattando le condizioni di rischio.