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Pillole di Psicologia – Il Complesso di Superiorità nel Nevrotico

Ogni nevrosi può essere intesa come un tentativo culturalmente sbagliato di liberarsi da un senso di inferiorità per procacciarsi un senso di superiorità.

Alfred Adler

Il Complesso di Superiorità è quella condizione psichica (caratteristica del nevrotico), contraddistinta da un eccesso di autostima e da una supervalutazione di sé come superiore, più istruito, più morale e più importante rispetto agli altri.

Complesso di Superiorità nel Nevrotico (secondo Adler) – ilpensierononlineare YouTube channel

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La Sindrome di Stendhal – PODCAST

Nel 1817 lo scrittore francese Marie-Henri Beyle (Stendhal) attraversò la penisola italiana durante il suo Grand Tour e tenne un diario poi pubblicato nella sua opera “Roma, Napoli e Firenze” dove per la prima volta descrisse questa esperienza psichica:

«Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da santa Croce ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.»

Stendhal

Tachicardia, vertigini, capogiri, allucinazioni, confusione, alterazione della percezione, scompensi affettivi, depressione, ansia, attacchi di panico, manie persecutorie..

Può un’opera d’arte generare così tanto scompiglio nella mente di un uomo?

Oggi parleremo di un’esperienza psichica al limite, scatenata da un’esperienza personale psicologica emotiva e sensoriale fuori dal comune e che ha a che fare con la bellezza.

Buon Ascolto..

La Sindrome di Stendhal – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

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Ali di moscerino

E’ pomeriggio i fiori primaverili hanno cominciato la loro folle corsa, ondeggiano e si lasciano trasportare alternando il proprio gioco a quello del viscoso polline. Ragnatele bianche inglobano -come miele corposo- la zanzariera dello studio; dalle crepe del perfetto rettangolino che le asole del tessuto contenitivo hanno creato, noto un minuscolo moscerino che cerca invano di farsi strada. Ci prova -è forte- persiste ma la trama contenitiva è rigida, è pensata per rigettare, per tenere lontana da sé ; al piccolo moscerino non resta che spogliarsi della pesante armatura di Eracle e disfattosi delle dodici fatiche, a colpi di infinitesimali ali, virare via.

Il paziente che è appena andato via è un uomo di circa 50 anni; è perso in una esistenza che lo appartiene sempre meno. Sposato, tre figlie, un cane e un gatto, un lavoro di un certo livello. L’uomo continua ad allacciare sporadici rapporti più o meno amicali, sessuali, sensuali, goliardici a cui non attribuisce valore ma che nonostante ciò continuano a descrivere il suo presente. L’uomo è molto attivo nel sociale ed è ben visto da tutta la rete sociale che lo circonda ma il problema che comincia a sollevare (che poi è uno dei motivi che lo hanno spinto a chiedere un supporto psicologico), è proprio che questa rete comincia ad inglobarlo fino quasi a soffocarlo. Viene chiesto lui (a suo dire) di essere quel padre di famiglia solido e saldo; il marito perfetto lindo come la camicia bianca che indossa tutte le mattine. L’uomo tuttavia comincia a vacillare; ha bisogno di sentirsi macchiato perché sente che le richieste poste lui sono troppe e non lo descrivono più; tuttavia lui non riesce (non può? non vuole?) a prendere una decisone che sia netta e precisa: voglio la storia che ho oppure devo cominciare una nuova narrazione?

In questa scissione -domanda incessante di un IO che non è mai padrone in casa sua- l’uomo si ammala.

E. donna di quasi quarant’anni è mamma di due bambini. E’ laureata ma ha avuto una carriera piuttosto frammentata; da sempre insicura e indecisa sulla propria esistenza si è trovata a scegliere qualcosa che non avrebbe mai immaginato: la sicurezza della vita domestica. E. comincia però ad un certo punto a non sentirsi calata nell’immagine di mamma precisa e amorevole che gli altri vedono in lei. La donna ha una sorta di velo che la ricopre; un velo che mi ricorda a tratti la resina impantanata, come si ritrova, nel suo processo di polimerizzazione. Ma gli anni sono pochi e il processo è lento.

Si arresta.

E. cede alla depressione, sospende fino quasi a bloccare le funzioni vitali. L’IO scopre che non può chiedere né osare domandare perché capisce che le chiavi d’ingresso non gli appartengono e nasce una lotta in cui prova a mediare, in cui cerca di sedare l’attacco che l’ES fattosi Mike Tyson comincia a scagliare; è proprio l’ES che bussa, crea terremoti alla ricerca del piacere perduto ma ecco che il SUPER-IO emette il suo categorico NO! Censura ogni piccolo piacere che cerca di emergere.

L’uomo e la donna ci provano, come il piccolo moscerino Eracle.

Ci troviamo tutti, prima o poi, a dover vivere delle personalissime fatiche; lotte immani tra Istanze psichiche che faticano a restare in equilibrio. Siamo non di rado quelle piccole ali che il moscerino ha battuto a fatica; quella fatica io l’ho vista e ho deciso di averne cura.

Ho alzato la zanzariera, quel pomeriggio, e sfidando il surplus di polline ho lasciato entrare quel piccolo moscerino.

Il percorso psicologico è questo. Un jolly esterno; qualcuno che comprenda la fatica, che la vede anche quando la maggior parte delle persone la reputa inutile sforzo.

La psicologia premia il coraggio, le scelte azzardate, è persistenza nella fatica con consapevolezza di saper quando allentare la corsa perché insistere non è una soluzione.

L’uomo che so seguito e la signora E., hanno trovato l’equilibrio compiendo scelte che a molti sono parse radicali e sbagliate.

Hanno trovato il modo di spalancare la finestra e prendere aria; volano -ora- molto dentro di sé, tanto ancora nella vita che li circonda. Non sono più membri di una folla qualunque, stereotipata immagine di una stabile e seriale realtà.

Sono picchi di colore nel marasma dell’indistinto, chiedono e domandano e ora conoscono le risposte.

Dott.ssa Giuseppina Simona Di Maio,
Psicologa Clinica, Albo degli Psicologi della Campania n.9767
Esperta in Disagio giovanile, devianza sociale e comportamenti a rischio,
Esperta in malessere adolescenziale e adolescenza
Psicologa scolastica,
Svolge attività di prevenzione, diagnosi e cura per la persona, i gruppi, gli organismi sociali e la comunità.

DCA: DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

Gli ultimi dati sui DCA diffusi in occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla (15 Marzo) ci consegnano un quadro allarmante: in Italia oltre 3 milioni di persone soffrono di Disturbi del Comportamento Alimentare e i primi casi si registrano addirittura all’età di 6-7 anni, numeri in costante peggioramento negli ultimi anni.

Per affrontare una problematica sempre più diffusa occorre avere una rete adeguata per la cura multidisciplinare ma serve anche una strategia di prevenzione e intercettazione precoce.

La psicologia scolastica e gli psicologi di assistenza primaria hanno una funzione cruciale in questa direzione.

Quello che non viene raccontato -spesso- oppure ciò che non vuole (per evidenti difese sociali messe in atto) essere visto è che i disturbi del comportamento alimentare hanno poco in relazione con il cibo in sé.

Il cibo diviene solo un mezzo per elicitare una sofferenza molto più nascosta e radicata nella psiche umana.

Il rapporto dell’essere umano con il cibo è qualcosa di complesso e multisfaccettato. Quelle che appaiono come semplici “pietanze tra cui scegliere” celano -a livello simbolico- una potenza che va molto oltre delle differenze in termini di gusti o scelte.
In alcune persone può infatti accadere che la relazione funzionale con il cibo muti tanto da diventare una relazione disfunzionale.
Il cibo -infatti- è fin da subito (fin dai primi istanti della nostra vita), un potente mezzo “mediatore” tra il me e il non me, tra me e il mondo esterno; si tratta pertanto di un elemento che può fungere da aggregatore sociale o da esclusione sociale (come nel caso dell’anoressia). Abbuffarsi di cibo o all’opposto rinunciare completamente al cibo stesso, indicano condotte comportamentali che vanno molto oltre la sola relazione con la pietanza stessa.1

Non è la bellezza a voler essere raggiunta, né un corpo standard in quanto tale. Il corpo anoressico serve ad attestare l’avvenuto raggiungimento di una certa potenza che ora è lì e può essere vista da tutti “Non ho bisogno di niente io!”. Il corpo abbondante, obeso, serve a nascondere, celare sotto tanti strati protettivi un dolore che si vuole dimenticare. Il corpo bulimico soffre della sua condizione di perduta anoressia e senza sosta, in uno stato onirosimile (sognante) mangia kg di cibo per poi gettarli via, insieme al dolore che lacera e consuma come il vomito autoindotto.

Si collude facilmente con l’anoressia (basta vedere anche i programmi televisivi che girano) perché l’estrema magrezza e il piccolo così bisognoso di cure a cui richiama quel corpo, non lasciano indifferenti (nessuno sa, però, di quanto sia potente e manipolatorio il pensiero anoressico).

Non si collude per nulla con l’obesità (se mangi tanto è normale che sei grassa e fai schifo è facile.. mettiti a dieta!).

Poco, direi nulla, si sa dell’invisibile sofferenza bulimica.

I disturbi alimentari si muovono su un continuum in cui spesso difficilmente si resta in una unica fonte di sofferenza, è più facile invece, che si passi da periodi di abbuffate, a quelli di restrizione ad alternanze di abbuffate e condotte eliminatorie continue.

Per cominciare a vedere qualche cambiamento è necessario uscire dalle maglie del pensiero lineare, quello che fa sentire comodi come un pomeriggio d’inverno sul divano mentre sorseggiando un tè caldo, il nostro gatto fa le fusa. I disturbi del comportamento alimentare implicano tutti una sottesa estrema sofferenza psichica; non sono capricci né standard da voler raggiungere; non sono isterismi, voglia di apparire, ingordigia o poca resistenza alle tentazioni.

Possono essere reviviscenze traumatiche, lutti inelaborati, violenze fisiche nascoste, violenze psicologiche sottili e taglienti; crateri di dolore che restano impantanati tra il detto e il non detto. Buchi da tappare come nel caso dell’obesità e della bulimia oppure voragini di vuoto come nel caso dell’anoressia.

Non è semplice fame d’amore.

E’ l’opposto.

L’abolizione del desiderio.

Dott.ssa Giuseppina Simona Di Maio,
Psicologa Clinica, Albo degli Psicologi della Campania n.9767
Esperta in Disagio giovanile, devianza sociale e comportamenti a rischio,
Esperta in malessere adolescenziale e adolescenza
Psicologa scolastica,
Svolge attività di prevenzione, diagnosi e cura per la persona, i gruppi, gli organismi sociali e la comunità.

1 Giuseppina Simona Di Maio, “Mangerò per il tuo piacere: psicopatologia e disturbi del comportamento alimentare nell’epoca social”, p. 6., 2022.

Cleptomania – PODCAST

In questo episodio ci occuperemo di una psicopatologia mal tollerata, perchè spesso confusa con un agito che è socialmente considerato come un reato, di quelli anche più odiosi, il furto.

La cleptomania non è un disturbo comune, si stima che circa 6 persone su mille ne soffrono e circa il 5 % dei taccheggiatori abituali.

I cleptomani agiscono sotto l’ “effetto” di un impulso incontrollabile.

Secondo il DSM5 la Cleptomania ha una caratteristica fondamentale che è la ricorrente incapacità di controllare l’impulso a rubare oggetti, anche se non vi è un particolare interesse per quell’oggetto, che può avere anche pochissimo valore economico. Quindi non c’è nessun reale interesse per l’oggetto rubato.

Altro aspetto che lo caratterizza e che lo differenzia dal reato di furto è che l’oggetto rubato spesso viene buttato, accumulato o dato via.

Il cleptomane è consapevole che il suo gesto può portare a conseguenze legali, ma nonostante ciò non riesce a controllare la sensazione di tensione che avverte prima del furto, che porta ad una sensazione di piacere, gratificazione e sollievo subito dopo averlo commesso.

Ma questa sensazione, viene poi sostituita da senso di colpa e depressione per il ciò che è accaduto e per l’incapacità a controllare l’impulso.

Buon Ascolto..

Cleptomania – In Viaggio con la Psicologia – Spreaker Podcast

Cleptomania – In Viaggio con la Psicologia – Spotify

Come avviene il Plagio Psicologico? Un Caso di Cronaca Nera.

Il Punto Interrogativo è il simbolo del Bene, così come quello Esclamativo è il simbolo del Male. Quando sulla strada vi imbattete nei Punti Interrogativi, nei sacerdoti del Dubbio positivo, allora andate sicuro che sono tutte brave persone, quasi sempre tolleranti, disponibili e democratiche. Quando invece incontrate i Punti Esclamativi, i paladini delle Grandi Certezze, i puri dalla Fede incrollabile, allora mettetevi paura perché la Fede molto spesso si trasforma in violenza.

Luciano De Crescenzo – Il Dubbio

Un fatto di cronaca nera ha sconcertato l’Italia intera. La strage di Altavilla Milicia avvenuta circa due settimane fa ha sconvolto l’opinione pubblica sia per l’eccessiva efferatezza di chi ha commesso gli omicidi, sia per i misteri che avvolgono i probabili “rituali” a sfondo religioso (delirante) che fanno da sfondo all’intera vicenda.

Stando alle ultime cronache, si presume che ad aver ucciso i figli di 16 e 5 anni e moglie, sia stato il marito insieme alla figlia (che ha dichiarato di aver collaborato ai rituali, anche se forse costretta e plagiata) e due persone, un uomo ed una donna , conosciuti qualche tempo prima dalla coppia di coniugi e presunti “capi spirituali” di una presunta setta (Fratelli di dio).

Il movente degli omicidi ruoterebbe attorno alla convinzione che si volesse liberare la casa e le persone uccise, dai “demoni” che, a quanto pare, la coppia dei “Fratelli di dio” ne aveva accertato la presenza nelle stesse persone (i figli e la madre).

Chiaramente le indagini sono ancora in itinere ed è tutto ancora al vaglio degli inquirenti. Quindi nulla è ancora certo.

Ma da questi elementi ovviamente è partito un dibattito, su tutti i media, che gira attorno a domande comuni:

Come è possibile sia successa una cosa simile?

Come si può arrivare a fare cose simili?

E soprattutto, come è possibile che i figli maggiori abbiano probabilmente preso parte nei rituali sadici che hanno portato alla morte i propri familiari?

In base alle informazioni che ci sono arrivate tramite i media, possiamo in parte dare una spiegazione ipotetica a ciò che è potuto accadere, per quanto riguarda le dinamiche psicologiche e le espressioni psicopatologiche che sottendevano gli atti e i comportamenti apparentemente incomprensibili.

Innanzitutto, possiamo dire che ci sia stata, probabilmente, la commistione di diversi elementi psicopatologici, che hanno a che fare con il delirio, la paranoia, la dissociazione e il plagio e la manipolazione.

Concentriamoci però su una delle parole che spesso è venuta fuori in queste settimane: plagio psicologico. I concetti di plagio e manipolazione (anche la suggestione ha a che fare con questo), hanno a che fare con processi di influenza psicologica che possono condizionare il pensiero, le credenze e i comportamenti delle persone.

Photo by Michaela St on Pexels.com

Il plagio, nello specifico, ha a che fare con una serie di tattiche e meccanismi psicologici coercitivi che sono finalizzati a produrre un cambiamento radicale e profondo nelle credenze, nelle emozioni e negli atteggiamenti di una o più persone.

In genere (come definito anche dall’American Psychological Association) il plagio ha lo scopo di deprivare un individuo della sua libertà di pensiero e di funzionamento, in modo da poter avere un “controllo” psicologico su di esso. Un esempio di plagio possiamo osservarlo nei componenti di alcuni gruppi religiosi, nelle sette o nei prigionieri di guerra.

P. Zimbardo definì il controllo mentale come quel processo che compromette la libertà individuale o collettiva di scelta e d’azione, perché riesce a modificare e a distorcere la percezione, le motivazioni, le emozioni, i comportamenti e le credenze delle persone.

“Il controllo mentale, come viene utilizzato dalla maggior parte dei culti distruttivi, non cerca di fare altro che intralciare l’identità vera dell’individuo – comportamento, pensieri, emozioni – e ricostruirla ad immagine del leader. Lo si fa controllando rigidamente la vita fisica, intellettuale, emotiva e spirituale del membro. Unicità e creatività della persona vengono soppresse. Il controllo mentale settario è un processo sociale che incoraggia obbedienza, dipendenza e conformità. Scoraggia autonomia e individualità immergendo i principianti in un ambiente che reprime la libera scelta. I dogmi del gruppo diventano l’unica preoccupazione della persona. Qualsiasi cosa o chiunque non rientri in questa realtà rimodellata diventa irrilevante.”

S. Hassan

Nel plagio psicologico il controllo mentale è molto impattante per chi lo subisce, nel particolare avviene che un personaggio influente (un singolo o un piccolo gruppo) esercita un controllo e un’influenza completa su un altro individuo, anche attraverso tecniche psicologiche di persuasione coercitiva e influenza psicologica ingannevole.

In questa situazione la persona coinvolta, perde il controllo sulla propria identità e quindi sulle proprie credenze e comportamenti, al punto di perdere anche la capacità di pensare e ragionare criticamente, in modo indipendente. Perde la propria libertà di pensiero.

La persona vittima di plagio diventa quindi totalmente dipendente e priva di spirito critico, avviene una vera e propria sudditanza psicologica nei confronti della “persona influente“. Il plagio ha quindi come scopo finale il cambiamento totale della persona, implicando un controllo estremo della “vittima” che subisce acriticamente anche la svalutazione dei propri valori precedenti.

Photo by Mariana Montrazi on Pexels.com

Chi plagia ha solitamente una personalità forte, narcisista, con una tendenza spiccata al comando e con un’abilità ad attirare nella propria sfera di influenza una moltitudine di persone. Il plagiato è invece un individuo con problemi di personalità, mancante di figure di riferimento, con una bassa autostima e una bassa capacità discriminativa, incapace di prendere decisioni e quindi tendenzialmente orientato a delegare agli altri le decisioni importanti della propria vita.

Chi plagia diventa una figura di riferimento, indispensabile per il plagiato che si assoggetta e si affida totalmente ad esso. Il livello sociale di chi viene plagiato è variegato, infatti spesso il sentirsi parte di gruppi o cerchie di persone particolari che fanno riferimento ad un capo carismatico, è qualcosa di “esclusivo”, segno di una distinzione sociale e mette in una posizione di sicurezza identitaria.

Quindi tornando al caso di cronaca nera di Altavilla è possibile ipotizzare che il fenomeno del plagio abbia avuto un suo peso specifico nella storia in questione.

Difatti, la coppia di presunti “capi spirituali” indagata, è probabilmente rea di aver in qualche modo plagiato la famiglia, già vittima probabilmente di una commistione di idee e convinzioni patologiche maturati in un sistema familiare probabilmente “malato” e in parte compromesso.

Difatti pare che il padre, dai racconti di vicini e familiari, aveva comportamenti e idee che farebbero pensare ad un impostazione di personalità paranoide; la madre era invece vittima attiva suo malgrado delle idee paranoiche e deliranti, tant’è che pare sia stata lei a contattare e allacciare i contatti con la coppia di “fratelli di dio”

Ma al momento le indagini sono in corso e chiaramente stando alle ultime indiscrezioni la coppia indagata, tende a svincolarsi, ritenendo di non essere presente durante le uccisioni; mentre Barreca (marito/padre) principale indagato, dice di essere stato plagiato e quindi portato, senza la sua volontà, ad uccidere i componenti della sua famiglia.

Secondo quanto da lui dichiarato,

“..il 54enne era “quasi paralizzato”. “Ha capito di aver perso la famiglia – ha dichiarato Barracato (avvocato) – anche se non sa spiegarsi come. Subito però dice anche che ‘è stato compiuto il volere di Dio'”.

Fonte – Fanpage.it – 07/03/2024

Insomma, quello di Altavilla Milicia è un caso di cronaca molto complesso e ci vorrà ancora un po’ di tempo per venire a capo dell’intera vicenda e ricostruire al meglio la verità dei fatti. Ma può farci riflettere profondamente su quanto possano essere pericolosi e incontrollabili i fenomeni di plagio e controllo mentale, quando associati a situazioni individuali di fragilità psichica, possono portare a tragedie più o meno gravi per chi ne resta vittima.

Pillole di psicologia: picacismo #psicologia #dca 

Persone che mangiano feci (coprogafia), ghiaccio (pagofagia), terra (geofagia), e così via..

Si tratta di soggetti accomunati dallo stesso disturbo del comportamento alimentare: il picacismo.

Nel video seguente ti descriverò questo disturbo in circa due minuti. Se sei curioso di saperne di più, non ti resta che guardare il video.

Dott.ssa Giuseppina Simona Di Maio,
Psicologa Clinica, Albo degli Psicologi della Campania n.9767
Esperta in Disagio giovanile, devianza sociale e comportamenti a rischio,
Esperta in malessere adolescenziale e adolescenza
Psicologa scolastica,
Svolge attività di prevenzione, diagnosi e cura per la persona, i gruppi, gli organismi sociali e la comunità.

“Se non sei fatto in un certo modo, non hai senso di esistere”

Spacco tra una terapia e l’altra, oggi non ho nemmeno un momento per respirare, per pensare alla miriade di casini che ci sono fuori dalla stanza dei colloqui dove la mia, di esistenza, corre e percorre le stradine che ama camminare, lontano dai percorsi battuti che non trova sicuri.

La mia esistenza preferisce, infatti, procedere per vie e vicoletti non consoni; ama le strade sconosciute, quelle in cui nessuno andrebbe a cacciarsi. Anche nel viaggio è così, e chi mi è compagno di avventura può dirlo, non si seguono le strade da tour, quelle che le guide consigliano: si studia la mappa della città, si apre la cartina e si cammina, si gira, si segue il flusso del naso e dell’emozione.

Così ci si innamora.

Girare e andare a zonzo per strade sconosciute è anche quello che facciamo in terapia, nei colloqui. Se pensassimo in maniera lineare, il nostro lavoro diventerebbe impossibile poiché se c’è una cosa che non risponde alle leggi convenzionali è proprio l’apparato psichico e per questo -infatti- spaventa molti.

Riflettevo, pertanto, sull’impossibilità di rispondere e corrispondere a percorsi stabiliti e netti e questo, mentre guardavo alcune delle “imperfette” foto personali.

Sono appassionata di quelli che per me sono dettagli, di quel qualcosa che riesce a trovare spazio per persistere nell’esistenza che continua ad esaurirsi nel suo stesso essere. Una cosa che prima c’era nel mentre è vissuta è già esaurita; trovare quindi qualcosa che permanga oltre il tempo del momento non è cosa scontata.

Gli ultimi due pazienti che hanno lasciato la stanza sono molto diversi per età, provenienza geografica e contesto di appartenenza. Sembrerebbero gli umani più distanti eppure mi hanno portato un concetto simile, nei colloqui:

“Se non sei fatto in un certo modo, non hai senso di esistere”

L’idea di bellezza seppur scialba (trovo l’argomento piuttosto noioso) continua ad essere il focus di molti colloqui; devo dire che reputo per quella che sono fuori dalla stanza dei colloqui -nella mia quotidianità- superfluo conversare di bellezza estetica, di bellezza d’animo, intenti e sentimenti me ne nutro ma questa: è altra storia.

E’ presente, nella questione bellezza, una profonda asimmetria che la denota e questo è spesso evidente quando visioniamo le foto che l’altro ci scatta. La verità che non vogliamo accettare è che l’altro non guarderà mai il Sé dal nostro punto di vista, da come noi stessi lo osserviamo. Il corpo diviene infatti ciò che Grosz, 1990, p.38 definiva:

“un oggetto disponibile per gli altri dalla loro prospettiva -in altre parole-, è sia soggetto che oggetto”

La questione dell’essere fotografati ed essere impressi dall’altro che guarda -scruta- senza che vi sia il nostro minimo controllo sul Sé che viene fermato nell’istante, è la possibilità di sentirsi un fotogramma, imprigionato in quel dato momento che in realtà sta appartenendo all’altro (colui che compie l’azione di scattare) diventando così il soggetto stesso, una pedina fatta di sola estetica che non detiene il controllo dell’azione stessa. L’impossibilità di controllare quello che l’altro vede dipende dal fatto che anche egli stesso è attraversato da sentimenti, ricordi, fantasie inconsce e soprattutto da meccanismi difensivi (specie proiettivi) che possono renderci desiderabili , invisibili o nemici da sconfiggere.

La questione si complessifica ancora di più quando ci troviamo ad attraversare un momento della vita in cui non ci sentiamo desiderabili e siamo invasi dall’esperienza di insufficienza (è ciò che Lacan, 1966, indicherebbe con -mancanza a essere- manque à être). Cerchiamo pertanto di recuperare quell’onnipotenza perduta abbellendoci, smussando e limando qualche contorno che giudichiamo fuori posto o -nei casi estremi di non accettazione- ricorriamo alla chirurgia estetica.

Se l’altro è percepito come qualcuno che detiene l’interezza o l’unità del Sé che sentiamo mancante (qualcosa di cui il Sé si sente deprivato), l’invidia può fare il proprio gioco. Si tratta di una dinamica spesso presente nelle donne che ricorrono alla chirurgia estetica in cui essa è messa al servizio di un desiderio di appropriazione del corpo creativo materno -fantasia di autocreazione- auspicando ogni dipendenza dall’oggetto del desiderio.

La questione articolata e complessa, difficilmente riassumibile in questo spazio di trattazione, è strettamente legata alla fragilità narcisistica che persiste in quanto inscritta nel Sé, pur quando lo sviluppo è proseguito in maniera piuttosto lineare (mi si passi il termine). L’esperienza della vergogna resta nel nostro Sé e questa si palesa quando appare tutta la nostra suscettibilità relativamente al nostro corpo, agli apprezzamenti ricevuti o meno ed ecco che tutti limiamo che sia con il make-up, con un certo abbigliamento, la forma che possiamo assumere.

La nostra superficie si fa portatrice di un disagio molto più profondo, che attecchisce lì, sotto la pelle.

Quello che rimane interessante è che per quanto un addome scolpito e piatto possa fare gola; per quanto cosce snelle e toniche siamo desiderabili così come labbra carnose e nasino all’insù, la bellezza va molto oltre il vestito di pelle che agghindiamo in maniera così esemplare ogni giorno.

Quel vestito un giorno sarà sgualcito e questo anche se continuiamo a dargli colpi da stiro, è nella normale bellezza dell’esistenza smettere di esistere come corpo.

La straordinarietà è allora persistere in anima, spirito, ognuno conferisca il sostantivo che meglio crede idoneo per quel che si accorda con il suo senso di Sé.

Il nostro ricordo -un domani- sarà molto lontano dall’essere un viso spianato o un gluteo tondo.

E questo lo auguro a tutti perché vorrebbe dire che abbiamo fatto qualcosa di fondamentale e fuori dall’ordinario, nella vita.

Nella nostra e in quella dell’altro.

Dott.ssa Giuseppina Simona Di Maio,
Psicologa Clinica, Albo degli Psicologi della Campania n.9767
Esperta in Disagio giovanile, devianza sociale e comportamenti a rischio,
Esperta in malessere adolescenziale e adolescenza
Psicologa scolastica,
Svolge attività di prevenzione, diagnosi e cura per la persona, i gruppi, gli organismi sociali e la comunità.