Ci sono ferite, graffi più o meno profondi, tagli a carne viva che bruciano e meritano la nostra attenzione.
Ogni ferita prima o poi guarirà, è solo questione di tempo e di cura; cura per il proprio taglio e cura per l’eventuale cicatrice (più o meno visibile che sia).
Anche l’apparato psichico soffre, si ammala e richiede la nostra attenzione: richiede le nostre cure.
Il problema dell’apparato psichico è che non sanguina in maniera visibile e sappiamo – invece- quanto le persone desiderino vedere nel reale, la cosa.
Ciò però che vorrei sottolineare con voi è che in realtà anche l’apparato psichico “sanguina”, soffre e si ammala e ce lo mostra attraverso il sintomo.
In lingua napoletana abbiamo un detto traducibile con “il cervello/la testa è una sfoglia di cipolla”; secoli dopo -Lacan- riprendendo Freud il quale sosteneva che l’Io è fatto dalla successione delle sue identificazioni con gli oggetti amati e che gli hanno permesso di prendere la sua forma; sosterrà proprio che L’Io è fatto come una cipolla “lo si potrebbe pelare e si troverebbero identificazioni successive che lo hanno costituito”, Lacan, 1975.
Siamo allora fatti di strati più meno compattati, più o meno rotti, più o meno escoriati.
Se l’apparato psichico, se l’Io soffre, mette in atto tutta una serie di modalità difensive: converte, isola, sublima, si chiude, intellettualizza e così via.
Una volta una ragazza disse di non riuscire a cacciar via dal proprio cuore un ragazzo; provai a riflettere con lei e provammo -insieme- a notare una cosa.
Il cuore è l’ultimo dei problemi; non è da lì che vanno tirate via le persone o le questioni, le cose, e non è lì che vanno relegate.
E’ la mente la prigione, la gabbia o l’illusione più forte che possiamo avere; è la mente che sa generare la storia più incredibile.
La mente crea, distrugge e soprattutto ricorda.
Il ricordo poi può essere più o meno aderente alla realtà dei fatti. Il ricordo torna, (ri)torna in maniera più o meno camuffata (ne sono un esempio i sogni).
Il ricordo genera la mancanza fino a lasciare dietro di sé uno strato più o meno lacerato.
Le lacerazioni creano dolore.
E’ del nostro apparato psichico e delle sue cicatrici che dobbiamo avere cura.
Usiamo cerotti quando serve, teniamo al coperto le ferite quando sono calde e pulsanti; disinfettiamo e teniamo al sicuro la nostra pelle psichica.
Quando saremo pronti, quando i nostri strati avranno (ri)trovato quella parvenza di compattezza.. allora sì.. stacchiamo pure il nostro cerotto e continuiamo ad avere cura di quella piccola e quasi invisibile cicatrice.
“Finisce bene quel che comincia male”.
Dott.ssa Giusy Di Maio.